Questa storia è stata scritta originariamente per Syria Untold [en, come tutti i link seguenti] da AJ Naddaf, uno studente di studi arabi e scienze politiche, insegnante di francese, e collaboratore di ricerca per la cattedra di Studi Arabi al Davidson College. Viene ripubblicata qui come parte di un accordo di collaborazione.
Akram Al Halabi è un artista originario dell'altopiano montuoso del Majdal Shams, la più grande delle quattro comunità druse-siriane rimanenti, nel territorio israeliano delle Alture Siriane del Golan. Nonostante provenga da una regione turbolenta, Al-Halabi non lascia che le sue opere d'arte vengano guidate da fattori politici. Al contrario, sfrutta l'arte come mezzo per esprimere la sua ricerca di armonia tra natura e umanità.
Nato in una famiglia di artisti, la carriera artistica di Al-Halabi inizia in giovane età quando dipinge e disegna sotto la guida di un insegnante di arte della piccola cittadina. Dal 1997 al 2000, studia disegno e arti pittoriche alla Bayt Al-Fann. Successivamente frequenta la Facoltà di Belle Arti presso l'università di Damasco (2000-2005). Nel 2003, partecipa a un'esperienza estiva dell'accademia di Darat al Funun, supervisionata da Marwan Kassab Bashi ad Amman in Giordania.
Anche a scuola, tuttavia, è accompagnato dal desiderio di esporre le proprie opere e di continuare la sua arte altrove. L'incessante pressione politica della sua identità a Israele giustifica le lunghe ore dedicate al perfezionamento di meticolose tecniche sulla prospettiva, luce e forma che stanno alla base della sua arte pluripremiata. Il suo obiettivo è molto semplice: creare arte in un luogo dove non bisogna spostarsi da un posto di blocco all'altro.
Dopo il completamento degli studi alla Facoltà di Belle Arti, diventa il primo abitante delle Alture del Golan a vincere una borsa di studio per continuare la propria formazione a Berlino. Tuttavia, il governo siriano gli nega l'autorizzazione a viaggiare, semplicemente a causa della sua instabile apolidia. Dopo che Israele annette ufficialmente le Alture del Golan nel 1981, l'anno in cui Al-Halabi è nato, si inizia a considerare i siriani del Golan come “residenti di Israele” ma non come cittadini. Ad Al-Halabi viene concesso il permesso di studiare a Damasco anche se vive nella parte israeliana del Golan grazie a un programma supervisionato dall'ONU reso possibile mediante un accordo tra Siria e Israele.
Nonostante questo problema, Al-Halabi persevera. Nel 2007, due anni dopo il diploma, la sua arte gli fa vincere una seconda borsa di studio attraverso il “One World Scholarship dell'Istituto afro-asiatico di Vienna” che ogni anno supporta 10-15 studenti provenienti da Africa, Asia e America Latina che si dimostrano davvero motivati a proseguire i propri studi. Infine, riesce a entrare all'Accademia delle Belle Arti di Vienna, e conclude la sua carriera formativa con lode nel 2012 con il corso del Professor Erwin Bohatsch.
Oltre agli studi artistici accademici, Al-Halabi partecipa a numerose mostre in tutta Europa. Le sue opere vengono acquistate anche da molti collezionisti privati all'interno dell'Unione Europea e nel Medio Oriente, incluso il British Museum di Londra e la collezione Kupferstichkabinett di Vienna.
Lottando contro la propria identità in un contesto austriaco, durante la permanenza all'Accademia delle Belle Arti di Vienna, il giovane artista decide di intraprende un viaggio dal 2009 al 2012 in Europa, Palestina e Israele, ritornando infine alla sua piccola cittadina. Durante l'esperienza all'estero, Al-Halabi chiede alla gente che incontra per caso di definirsi nel momento del loro primo incontro e di scrivere la definizione su un singolo pezzo di carta usata per la fatturazione. Al-Halabi intitola il progetto “Snowflakes” (Letteralmente: Fiocchi di neve), aggiungendo in seguito piccole forme geometriche usando delle pinze per creare delle linee a forma di impronte digitali e fiocchi di neve.
Con l'inchiostro di questo tipo di carta carbone che diventa blu sottoposto a pressione, ogni partecipante ha ricevuto una copia del proprio lavoro. “Ci sono così tante persone che effettivamente vogliono e hanno bisogno di dirti qualcosa, soprattutto gli anziani nei parchi,” ha detto l'artista a SyriaUntold. “Ero motivato perché sono nato indefinito — e tuttora lo sono — ma sono riuscito a comprendermi di più, comprendendo gli altri. Se vai in strada a parlare con gli estranei, rimarrai sorpreso da come alcune persone diventano tuoi amici e possono capirti”
Ha inoltre commentato il rischio di vivere con idee molto ristrette. Per esempio, alcuni israeliani e palestinesi hanno rifiutato di partecipare al progetto semplicemente perché Al-Halabi non condivide i loro stessi ideali religiosi.
Lo spirito aperto, curioso e amichevole che ha guidato il progetto è ciò che descrive al meglio la personalità di Al-Halabi. Nel 2010, di ritorno nella sua piccola cittadina come ogni estate, crea un evento performativo chiamato “L'amore al primo posto”, in cui 200 persone delle Alture del Golan hanno formato con i propri corpi la frase “L'amore al primo posto” (in arabo, Al-Mahabbah Awwalan).
L'anno successivo, allo scoppio della rivolta siriana, Al-Halabi guarda col fiato sospeso lo schermo della sua TV. “Poiché ho vissuto a Damasco e in alcune delle aree più colpite dalla rivoluzione, dovevo fare arte. Non potevo fare altro. Posso solo guardare e mostrare quello che succede attraverso altre lenti,” racconta a SyriaUntold.
Recuperando immagini raccapriccianti dal suo computer che venivano ampiamente diffuse dai media, Al-Halabi dà vita al progetto “Cheek”, cancellando le immagini e aggiungendo parole in inglese e arabo, a volte solo abbozzando i contorni delle figure. “Volevo riprodurre un terzo livello di percezione, creando per lo spettatore collegamenti tra parola e immagine,” spiega Al-Halabi. Le sue ristampe contengono tratti fisici e altri elementi indicati con i rispettivi nomi semplicemente per ricordare al pubblico che esistono: “Orecchio, occhio, sopracciglio, finestra, sangue, naso, bambino, collo, gola, mento, spalla, cuore, madre, dita, guancia…”
Il progetto rappresenta una storia di poesia nello spazio, rimuovendo l'orrore dalle foto virali macchiate di sangue. È stato concepito tra il 2011 e il 2013, durante i primi due anni della rivoluzione siriana, prima che il conflitto diventasse una guerra totale per procura. Non ha dormito per diverse notti finché “Cheek” è stato terminato, e solo allora è riuscito ad andare avanti e iniziare nuovi progetti.
La varietà di mezzi e tematiche nel lavoro di Al-Halabi assomiglia al suo concetto di identità, vista come qualcosa di malleabile e in evoluzione, come un fiocco di neve. Più di tutto, Al-Halabi crede che le identità geografiche siano marcatori privi di significato per definire non solo le persone ma anche sé stesso. Ciò che più conta per lui è vivere la vita non come un'esperienza piatta o uniforme, ma accettare le sue complessità, e cercare armonia giorno dopo giorno. Fare arte è per lui un modo per esprimere tutto questo.
Tuttavia, il potere di intraprendere profonde conversazioni, leggere della buona letteratura, nuotare, osservare la bellezza della natura (come l'attrazione dell'autore per le libellule), e recitare in spettacoli teatrali sono tutte espressioni che danno un senso alla sua vita e definiscono la sua identità. “Non dimenticare di goderti la giornata, ” dice Al-Halabi a SyriaUntold. “È comunque molto più importante di questo articolo.”
A novembre, Al-Halabi parteciperà all'inaugurazione di una serie di esposizioni dei propri lavori in Giappone: “Diaspora Now” al Museo delle Belle Arti a Gifu (11/11/2017 – 8/1/2018). Per saperne di più sulla sua opera polivalente guarda il suo portfolio qui.