Google blocca l'accesso all'inno di protesta pro-democrazia a Hong Kong dopo la sentenza del tribunale

Il video su YouTube della canzone di protesta Glory to Hong Kong è bloccato da mercoledì 15 maggio 2024 per gli utenti locali. Foto: Screenshot via HKFP. Utilizzato su autorizzazione.

Questo articolo è stato scritto da Tome Grundy e pubblicato [en, come i link seguenti] originariamente su Hong Kong Free Press (HKFP) il 15 maggio 2024. Una versione modificata è pubblicata qui di seguito come parte di un accordo di content partnership con l'HKFP.

Google ha bloccato agli utenti di Hong Kong l'accesso alla canzone di protesta pro-democrazia “Glory to Hong Kong (Gloria a Hong Kong)” su YouTube (di proprietà di Google) in seguito a un ordine del tribunale. Ciò avviene pochi giorni dopo la dichiarazione del Segretario alla Giustizia Paul Lam che il governo fosse “ansioso” di ascoltare la risposta della tech company alla sentenza.

L'8 maggio, un tribunale ha vietato di “trasmettere, eseguire, stampare, pubblicare, vendere, mettere in vendita, distribuire, diffondere, mostrare o riprodurre” la canzone con intento sedizioso. La Corte d'appello si è schierata con il governo, ribaltando la decisione dell'anno scorso di un tribunale di grado inferiore di respingere l'ingiunzione, citando problemi di libertà di parola.

Una settimana dopo, il 15 maggio, i 32 video elencati nell'ordinanza del tribunale sono stati tutti sostituiti dal seguente messaggio su YouTube: “Questo contenuto non è disponibile nel tuo dominio nazionale a causa di un ordine del tribunale”. Tuttavia, alcune versioni rimangono accessibili, così come quelle su altre piattaforme, tra cui Spotify.

“Siamo delusi dalla decisione della Corte, ma stiamo rispettando l'ordine di rimozione con il blocco dell'accesso ai video elencati per gli utenti di Hong Kong. Continueremo a considerare le nostre opzioni per un appello, al fine di favorire l'accesso alle informazioni”, ha spiegato un portavoce di YouTube in una dichiarazione inviata all'HKFP.

YouTube ha dichiarato di avere politiche chiare per quanto riguarda le richieste governative di rimozione dei contenuti, i quali vengono limitati in risposta ai processi legali. Ha aggiunto che, oltre alle rimozioni di 32 video su YouTube, i link correlati su Google Search non saranno più visibili per gli utenti.

Nonostante i blocchi, il gigante del tech ha dichiarato di condividere le preoccupazioni espresse in precedenza dalle organizzazioni per i diritti umani in merito al “chilling effect” dell'ordine del tribunale.

Non è la prima volta che i cittadini di Hong Kong si imbattono in un'apparente censura di Internet. Dal 2022, il sito web dell'ONG Hong Kong Watch rimane parzialmente bloccato dai fornitori di servizi Internet della città. Anche i siti web della piattaforma antigovernativa HKChronicles, della Commissione per la Giustizia di transizione di Taiwan, e della HK Charter 2021 sono inaccessibili.

Una campagna governativa contro la canzone

“Glory to Hong Kong” è stata pubblicata su YouTube da un cantautore locale di nome “Thomas” e dal suo team il 31 agosto 2019, all'apice delle manifestazioni e dei disordini pro-democrazia della città. Si è rapidamente diffusa tra i manifestanti e i democratici.

Il testo incorpora lo slogan di protesta “Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi”, ora illegale in quanto dichiarato dal governo “pro-indipendenza” e capace di incitare alla secessione.

Le autorità hanno lanciato una campagna contro la canzone nel novembre 2022, quando “Glory to Hong Kong” è stata accidentalmente suonata durante una partita di Rugby Sevens in Corea del Sud al posto dell'inno nazionale cinese, “March of the Volunteers (Marcia dei Volontari)”. È emerso che uno stagista l'avrebbe scaricata da Internet, pensando erroneamente che fosse l'inno nazionale di Hong Kong.

Il governo ne ha poi chiesto la rimozione dai risultati di ricerca di Google e da altre piattaforme di condivisione di contenuti come YouTube, ma senza successo.

Il Segretario per l'Innovazione, la Tecnologia e l'Industria Sun Dong ha dichiarato lo scorso luglio che Google non aveva accolto la richiesta della città di rimuovere “Glory to Hong Kong” dai risultati di ricerca.

“Google ha detto che bisognava avere le prove per dimostrare che [la canzone] violasse le leggi locali, [che avevamo bisogno] di un'ordinanza del tribunale”, ha affermato Sun. “Molto bene, visto che avete sollevato una questione legale, usiamo i mezzi legali per risolvere il problema”.

Non è una canzone ‘proibita’

Domenica scorsa, durante un intervento a Commercial Radio, il Segretario alla Giustizia Lam ha dichiarato che, nonostante il divieto emesso dal tribunale su alcuni atti legati alla canzone, questa non dovrebbe essere considerata una “canzone proibita”.

“Non dovremmo usare il termine ‘canzone proibita’. Il divieto riguarda atti che utilizzano la canzone per la lotta all'indipendenza di Hong Kong… come un'arma che inneggia alla violenza e al perseguimento della sua indipendenza”, ha affermato Lam.

Ha aggiunto che i media possono ancora riportare notizie sulla canzone e gli studiosi possono fare ricerche su di essa, “ad esempio su come ha promosso l'indipendenza di Hong Kong”.

Sebbene durante le manifestazioni del 2019 siano stati avvistati manifestanti a favore dell'indipendenza della città, né il testo della canzone né le richieste ufficiali del movimento la menzionano.

Le proteste sono scoppiate nel giugno 2019 a causa di una legge sull'estradizione, poi ritirata. Sono degenerate in manifestazioni di dissenso a volte violente contro il comportamento della polizia, tra appelli alla democrazia e rabbia per le violazioni di Pechino. I manifestanti hanno chiesto un’indagine indipendente sulla condotta della polizia, l'amnistia per le persone arrestate e di porre fine alla rappresentazione delle proteste come “disordini”.

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