La prospettiva dei giornalisti africani sui Giochi Olimpici di Parigi 2024

Foto dei rappresentanti del Kenya durante la cerimonia di apertura; schermata video da YouTube de France 24

Dal 26 luglio 224 il pianeta vibra al ritmo delle diverse competizioni sportive nell'ambito dei Giochi Olimpici di Parigi 2024. Il continente africano è ben rappresentato dagli atleti ma anche da giornalisti che coprono la totalità delle competizioni per il pubblico africano.

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La copertura olimpica da sempre è stata prerogativa di giornalisti non africani, principalmente a causa del costo, in quanto pochi media africani possono permettersi di inviare giornalisti in loco per più di due settimane. Quest'anno è stata l'eccezione: il Comitato organizzativo dei Giochi Olimpici di Parigi 2024, grazie al sostegno di Paris Médias 2024 [fr, come tutti i link seguenti], ha invitato giornalisti del continente per poter offrire un punto di vista africano su questo avvenimento mondiale. È la prima volta nella storia dei Giochi Olimpici.  Giornalmente, sulle onde di  Radio France Internationale (RFI) , diversi giornalisti africani hanno commentato ed espresso i propri punti di vista su diversi aspetti dei giochi: la mescolanza culturale, il tenore di vita di Parigi, le relazioni tra la Francia ed i loro paesi, l'aggiornamento sui Giochi, i risultati degli atleti africani, in una rubrica intitolata Regards africains [punti di vista africani].

L'angoscia del primo viaggio e il costo della vita a Parigi

Anche se accreditato dal comitato dei Giochi Olimpici, Nesta Yamgoto, giornalista ciadiano di TchadInfos, non era tranquillo al momento di entrare in Francia, tra la paura di venire rifiutato e l'immersione quotidiana in una cultura più individualista, Ha raccontato:

C‘est toujours compliqué pour un Africain de fouler le sol français, parce qu’ils exigent beaucoup de documents. Une fois arrivé devant le douanier, je me suis dit que peut-être que le gars va dire qu’une pièce manque. Il m’a regardé dans les yeux, et je me dis “Qu’est-ce qu’il cherche exactement”. Les quelques secondes ont duré presque cinq minutes dans ma tête. Au bout d’un instant, il m’a dit “c’est bon, vous pouvez passer”, il m’a donné le tampon et voilà – c’était un ouf de soulagement.

J’ai un sentiment un peu bizarre parce qu’il n'y a pas ce “bonjour-bonjour, comment vous allez”, il n’y a pas ça ici. C’est chacun pour soi, chacun est concentré sur ce qu’il fait. On peut prendre un métro pendant 40 minutes, mais on ne pourra pas dire ou échanger avec quelqu’un. J’ai envie d’échanger, de discuter et de connaître comment les gens vivent. Mais pour découvrir, il faut échanger avec les autres, et malheureusement, ce n'est pas le cas, je n'ai pas échangé avec un Parisien x comme ça.

È sempre difficile per un africano entrare sul suolo francese, perché richiedono una marea di documenti. Una volta arrivato davanti al doganiere mi sono detto che forse mi avrebbe detto che mancava un documento. Mi ha guardato negli oggni e io mi sono chiesto “cosa cerca veramente?”. Dopo qualche secondo, che è durato circa 5 minuti per me, mi ha detto improvvisamente “va bene, può andare”, ha messo il timbro e – voilà – ho tirato un sospiro di sollievo.

Mi sento un po’ a disagio, perchè non c'è stato quel “buongiorno – buongiorno, come va”… qui non va così. Qui è ciascuno per se, ognuno è concentrato su quello che deve. Puoi prendere la metro per 40 minuti ma non scambierai una parola con nessuno. Avevo voglia di chiacchierare, di discutere e capire come vive la gente. Ma, per scoprire, bisogna interconnettersi con gli altri, e, sfortunatamente, non è così. Non ho scambiato parola con un singolo parigino in questo senso. 

Kena-Did Ibrahim Houssein, giornalista gibutiano che ha avuto la fortuna di partecipare alla prima cerimonia in onore dei giornalisti internazionali, ha raccontato a RFI il suo punto di vista sulla relazione tra Gibuti e la Francia:

(…)Djibouti et la France, partagent des relations historiques fraternelles, qui dans le temps se renforcent et se consolident. Je pense que le peuple français et djiboutien ont beaucoup à partager, et beaucoup de valeurs communes. (…) Les Djiboutiens et la France, c’est une relation quasi familiale, on est d’une même famille. Et lorsqu’on se trouve en France, c’est toujours la même joie de retrouver le peuple français.

(…) Gibuti e la Francia condividono relazioni storiche fraterne, rinforzate e consolidate nel tempo. Penso che il popolo francese ed il gibutiano abbiano molto in comune, soprattutto valori. (…) I gibutiani e la Francia, è un rapporto quasi famigliare, apparteniamo alla stessa famiglia. E quando si è in Francia è sempre la stessa gioia ritrovare il popolo francese.

Uno dei fatti che ha contrassegnato il periodo delle competizioni internazionali è l'alto costo della vita. Il livello di vita ed il costo elevato di alcuni prodotti è uno degli aspetti che ha colpito Michel Tobo Nkosi, giornalista congolese. Si è stupito che si possa vendere un semplice cappellino dei  Giochi per una somma che, nel suo Paese, permetterebbe ad una famiglia intera di vivere per due settimane. Ha detto :

J’ai vu une casquette, on a mis seulement un logo de Paris 2024 dessus, à 45 euros quand même. 45 euros c’est à peu près chez moi au Congo 190 000 francs congolais. Avec cette somme, une famille de 3 ou 4 personnes peut vivre pendant une semaine. Et dépenser cela rien que pour une casquette, il y a un petit picotement quand même dans le cœur. Moi par exemple, je suis marié, si ma femme entend que j’ai dépensé 50 dollars rien que pour acheter une casquette, je vous assure que je vais mal terminer à la maison.

Ho visto un cappellino, gli hanno solo messo sopra un logo di Paris 2024, e lo vendono a 45 euro. 45 euro corrispondono più o meno a 190 000 franchi congolesi. Con questa somma una famiglia di 3-4 persone può vivere una settimana. E spendere una tale cifra per nient'altro che un cappellino mi fa male al cuore. Io, ad esempio, sono sposato, se mia moglie sapesse che ho speso 50 dollari per comprare un cappellino posso assicurarvi che appena torno a casa va a finire male.

La scoperta di un'ampia ricchezza culturale

Nota per il suo aspetto turistico, la scoperta della città di Parigi è l'occasione, per Romance Vinakpon, giornalista beninese, di constatare da vicino le ineguaglianze sociali ma anche la ricchezza culturale della città.

Quand on est à Cotonou et qu’on parle de la France sans avoir encore eu la chance de venir, on ne pense qu’à la tour Eiffel, on ne pense qu’à l’Arc de Triomphe, on ne pense qu’aux grands musées, alors qu’il y a des réalités, par exemple à Château Rouge, on voit des endroits où on a presque envie de se demander si ce sont des bidonvilles ou si ce sont des ghettos. C'est des choses qu’on ne voit pas sur les réseaux sociaux, par exemple.

Quando, a Cotonou, si parla della Francia senza aver ancora avuto la possibilità di venirci, non si pensa che alla tour Eiffel, all'Arc de Triomphe, ai grandi musei; mentre ci sono delle realtà, ad esempio a Château Rouge, dove si vedono dei posti in cui ci si domanda se siano bidonville o ghetti. Cose che non si vedono sui social media, ad esempio.

Anche la multiculturalità è stata una scoperta per il giornalista, che ha dichiarato:

(…)il y a tellement de diversités, au niveau de la couleur de peau, au niveau de la culture et des mentalités aussi. Je ne m’attendais pas forcément à ça, mais j’ai compris que beaucoup d’autres nationalités, et beaucoup d’autres cultures, se réunissent à Paris. Pour moi, si toutes ces personnes réussissent à rester ensemble et à vivre ensemble, c’est quand même un message et une manière de faire grandir le monde, car on est tous pareils…

(…)c'è una tale diversità nel colore nella pelle, a livello di cultura e mentalità. Non me l'aspettavo. Ho capito che a Parigi si riunisce una moltitudine di altre culture e nazionalità. Per me il fatto che tutte queste persone riescano a stare e vivere insieme è un messaggio ed un modo di  far crescere il mondo, perché siamo tutti uguali…

Sostegno agli atleti rimasti indietro negli allenamenti

In questa grande massa sportiva le condizioni di preparazione a monte della competizione si ripercuotono sui risultati degli atleti, e quelli provenienti dall'Africa sono sovente svantaggiati.  Kiady Arivony Razafiarison, giornalista malgascio di 2424.mg., cerca di spiegarcelo. Al microfono di RFI, spiega che la carenza di mezzi comporta l'impossibilità per il proprio paese di far emergere gli atleti:

À Madagascar, on ne produit presque plus de nouveaux athlètes. Le problème actuellement à Madagascar, c’est le manque de détection des jeunes athlètes. Aujourd’hui en athlétisme, nous n’avons même plus de champions en matière de saut en longueur, de saut en hauteur, de javelot, tout ça. La discipline a presque disparu. Il y a aussi le manque d’infrastructures, qui pénalise fortement la préparation et la progression des athlètes malgaches. Il y a par exemple Jonathan Raharvel qui a critiqué sa préparation. Au lieu de se préparer dans un bassin olympique de 50 mètres, il a préparé les jeux dans un bassin de 25 mètres. Cela a fortement eu raison de sa performance.

In Madagascar non creiamo quasi più nuovi atleti. Il problema attuale, in Madagascar, è identificare i giovani atleti. Anche nell'atletismo oggi non abbiamo più campioni di salto in lungo, salto in alto, lancio del giavellotto, ecc. Le discipline sono quasi scomparse. Inoltre mancano le infrastrutture, per cui la preparazione ed il miglioramento degli atleti malgasci è fortemente penalizzato. Ad esempio, Jonathan Raharvel ha criticato la sua preparazione. Invece di allenarsi in una piscina olimpica di 50 metri, ha lavorato in una piscina da 25 metri. Ciò ha fortemente impattato sui suoi risultati.

Da parte sua Salématou Sylla, giornalista guineana, approfitta della presenza ai Giochi per sostenere gli atleti del suo paese durante le competizioni. Un aspetto che giudica estremamente cruciale è che il sostegno psicologico non dovrebbe venire dimenticato, per permettere di sostenere gli atleti soprattutto in caso di sconfitta:

La plupart, quand ils sont éliminés, cherchent à partir directement pour oublier ce qui s’est passé. Quand il y a la contre-performance, c’est difficile pour beaucoup. Moi, je trouve que c’était important parfois de laisser ce côté journalistique et d'être une grande sœur, mais aussi une guinéenne, parce qu’elles représentent aussi le tricolore guinéen donc dans ce cas de figure-là, il faut être là, essayer de leur remonter le moral pour ne pas qu’elles se renferment sur elles-mêmes.

La maggior parte degli atleti, una volta eliminati, cerca di partire subito per dimenticare. Non essere stati all'altezza per molti è difficile. Io penso sia importante a volte lasciare la parte giornalistica ed essere un po’ una sorella, ed una guineana, perché loro rappresentano il nostro tricolore guineano anche in questo caso, e bisogna esserci, cercare di sollevare loro il morale affinché tornino a credere in se stessi.

Quest'opportunità di copertura speciale offerta ai giornalisti del continente [africano] permette una lettura più inclusiva delle realtà e delle sfide che girano attorno a quest'incontro sportivo, soprattutto per gli africani.

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