Questo articolo di Wambui Mwaura è stato pubblicato originariamente [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] su Minority Africa il 10 settembre 2024. Ne riproduciamo una versione ridotta in base a un accordo di condivisione di contenuti.
Le donne di tutta l'Africa vengono assassinate a un ritmo allarmante, spesso per opera del loro compagno o di un familiare di sesso maschile. Tragicamente, nel 2022 il continente ha registrato i più alti indici di femminicidio per mano di compagni o familiari e si stima che le donne e le bambine che hanno perso la vita siano 20.000.
In Kenya, ad esempio, rapporti dei media segnalano un notevole aumento dei casi di donne uccise dal proprio compagno. È triste che la maratoneta olimpica Rebecca Cheptegei sia una delle ultime vittime di femminicidio. Tuttavia, non esiste alcun sistema ufficiale che si occupi di tutte le donne che sono vittime di violenza di genere, in particolare di femminicidio.
Secondo le statistiche diffuse da Africa Data Hub, che ha seguito i casi di femminicidio riportati dai giornali, tra il 2016 e il 2023 ci sono state 546 donne e bambine assassinate in Kenya. I casi di violenza di genere e di femminicidio (una forma estrema di violenza di genere) hanno dominato le notizie all'inizio del 2024.
Solo nel gennaio del 2024, più di dieci donne hanno perso la vita a causa della violenza degli uomini. Due casi eclatanti apparsi nelle notizie nel corso dello stesso mese sono stati quelli di Scarlet Wahu e Rita Waeni, assassinate rispettivamente il 3 e il 14 di gennaio. Le loro morti scatenarono le maggiori proteste contro il femminicidio nella storia del Kenya in numerose città e distretti il 27 gennaio, con le quali si è chiesto al Governo che dichiarasse il femminicidio una crisi nazionale. La protesta di Nairobi è stata chiamata #TotalShutDownKe [chiusura totale del Kenya].
Il problema del femminicidio a causa di una giustizia assente o tardiva non si limita al Kenya, ma esiste anche in altri paesi africani, come la Nigeria, dove solo nel 2022 sono stati registrati 401 casi di femminicidio.
Problemi con il sistema
Il 14 dicembre 2023, Naftali Kinuthia è stato condannato a 40 anni di carcere per l'assassinio di Ivy Wangechi. Wangechi era una studentessa del quinto anno di medicina alla Moi University in Kenya. È stata assassinata a colpi d'ascia davanti alla sua facoltà dopo aver rifiutato le avance di Kinuthia, che è stato dichiarato colpevole dopo un processo di quattro anni presso il Tribunale Superiore di Eldoret. Kiroko Ndegwa è stato il pubblico ministero del caso che ha avuto ripercussioni sia a livello nazionale che internazionale.
Uno dei maggiori problemi che il sistema affronta quando si tratta di casi di femminicidio è che si tratta di procedimenti giudiziari troppo lunghi. A volte il processo dura talmente tanto che i familiari perdono qualsiasi speranza di ottenere giustizia per i loro cari.
Durante un'intervista nel suo ufficio, Ndegwa ha spiegato che il procedimento giudiziario del caso di Ivy Wangechi si è allungato a causa della sostituzione del presidente del tribunale che è avvenuta a metà del processo.
“Questo ha causato molte difficoltà tecniche legali, inclusa la possibilità che il procedimento dovesse ricominciare da capo”, ricorda Ndegwa. “Specialmente perché Winfred Waithera King’ori, la madre della vittima, ha fatto ricorso ai media per lamentarsi dei ritardi del processo ed esprimere la sua preoccupazione che non venisse fatta giustizia per sua figlia assassinata”.
Ndegwa ha aggiunto: “Il problema è che, nel caso in cui si riprendesse dal punto in cui era arrivato il procedimento, il nuovo giudice non può interagire con i testimoni né valutare il loro comportamento. D'altra parte, ricominciando dall'inizio (de novo), esiste [la] possibilità che i testimoni perdano il loro entusiasmo iniziale e finiscano in uno stato di frustrazione”.
Un altro problema che affligge il sistema giudiziario del Kenya è la forma nella quale la legge limita la partecipazione dei familiari delle vittime durante il processo nei casi di femminicidio. Il sistema legale keniano, spiega Ndegwa, è ostile nei riguardi dei familiari della vittima, nonostante quanto previsto dall'articolo 50, paragrafo 7, della Costituzione, che stabilisce che “anche i familiari della vittima hanno il diritto di essere ascoltati”.
Ndegwa ha segnalato: “I funzionari del sistema giudiziario limitano la partecipazione della famiglia anche se la legge lo prevede. Spesso, se l'accusato non può pagarsi un avvocato, gliene viene assegnato uno d'ufficio, ma questa cortesia non è prevista per i familiari delle vittime”.
Inoltre, secondo Ndegwa, i testimoni di femminicidio temono spesso per la loro vita quando il tribunale concede all'accusato la libertà a cambio di una cauzione. Ha dichiarato che ci sono stati casi nei quali gli accusati sono stati messi in libertà e i testimoni principali non hanno testimoniato o hanno ritirato le precedenti testimonianze. Ci sono anche casi nei quali non vengono interrogati i testimoni principali.
Secondo un rapporto di African Data Hub, passano una media di 1.900 giorni prima che un caso approdi in tribunale dopo l'arresto dell'autore. Molte volte, gli avvocati difensori chiedono rinvii non necessari che ritardano in modo significativo l'amministrazione della giustizia nei confronti dei familiari delle vittime. Questa tattica danneggia il caso, dato che scoraggia i testimoni, sopraffatti dai costi dei trasporti e dal tempo necessario.
Questo provoca ritardi e, in alcuni casi, errori giudiziari. La maggior parte delle volte, quando i presunti assassini appartengono a famiglie facoltose o influenti, i testimoni con meno risorse vengono oltremodo intimiditi. Anche l'incapacità del Kenya di stabilire un efficace servizio di protezione dei testimoni è un fattore decisivo per il quale le persone non si presentano a testimoniare. Dal 2016 ci sono stati in Kenya più di 500 femminicidi; da allora, si è arrivati a sentenza solo in 13 casi.
Questo è ciò che capita anche a molte persone in Nigeria che, a causa delle carenze del sistema, si trovano costrette ad abbandonare la ricerca di giustizia.
Le leggi nigeriane ostacolano in modo rilevante i tentativi di ottenere giustizia nel caso di vittime di femminicidio. A differenza degli omicidi, in Nigeria non esiste una normativa specifica che tratti esplicitamente il femminicidio.
“[Il femminicidio] non esiste nel nostro vocabolario legale. È importante legiferare su questo, perché quando un delitto non viene individuato con precisione, la giustizia non può prevalere”, afferma Ololade Ajayi, fondatrice di DOHS Cares Foundation, organizzazione che difende i diritti di donne e bambini.
“Questo fa sì che, nei casi di omicidio, l'accusa dipenda dalla tipizzazione del delitto, che può non comprendere completamente motivazioni legate al genere”, aggiunge.
Il 4 aprile 2024, DOHS Cares Foundation e i suoi partner sono usciti in massa in cerca di giustizia per il femminicidio di migliaia di donne e di bambine. L'organizzazione ha preparato un progetto di legge e lo ha presentato all'Assemblea legislativa dello stato di Lagos allo scopo di rimediare alle lacune legislative che impediscono che la giustizia prevalga e perché, in Nigeria, si riconosca il delitto di femminicidio.
Mentre continuano le proteste e gli sforzi di progresso politico, non è dato sapere se i governi di questi paesi implementeranno le riforme necessarie per garantire che, alla fine, i familiari delle vittime di femminicidio in Kenya e Nigeria ottengano giustizia per i loro cari.