
Manifestazione studentesca contro la dittatura militare nel 1968 Foto: Arquivo Nacional/Dominio pubblico
Nell'anno in cui in Brasile si compiono i 40 anni dalla fine della dittatura militare brasiliana (1964-1985) [it], e con le discussioni relative a quel periodo stimolate dal successo del film ”Ainda estou aqui” (2024, sono ancora qua) [br, come i link seguenti, se non diversamente indicato], un'altra questione resta latente nel paese: il debito dello stato brasiliano verso le vittime delle violazioni dei diritti umani commesse dal regime.
Pur avendo avviato meccanismi di riparazione, come le commissioni su morti e scomparsi e quella di Amnesty, e la creazione della Commissione nazionale per la Verità, il paese affronta tuttora delle sfide nel concretizzare una giustizia di transizione.
Oltre a ciò, in un contesto di polarizzazione politica ed ascesa di figure di estrema destra, una ricerca resa nota dall'istituto Datafolha nel mese di dicembre ha riportato che il 69% del popolo brasiliano dichiara di preferire la democrazia. Due anni fa, la percentuale era del 79%.
In un articolo del 2012 nel quale analizza il caso del Brasile, Fabiana Godinho MacArthur evidenzia ”meccanismi e strategie” che permetterebbero al paese di progredire, ma evidenziando un ostacolo:
…pesa, sobre o processo transicional brasileiro, a preservação da opção pela não responsabilização individual dos agentes da repressão militar, bem como a negação de quaisquer responsabilidades por parte dos mesmos.
…nel processo di transizione brasiliano pesa il fatto che continui a persistere l'idea che gli agenti di repressione militare non abbiano responsabilità individuale, così come la negazione di qualsiasi responsabilità da parte degli stessi.
L’impunità nel caso del Brasile è stata fortemente influenzata dalla Legge di amnistia del 1979, che ha messo in libertà i detenuti politici ed ha permesso il rientro degli esiliati, avvantaggiando contemporaneamente gli agenti di stato coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani, evitando che venissero giudicati. La relazione della Commissione Nazionale per la Verità elencava 377 persone potenzialmente responsabili di crimini nel periodo.
In un'intervista al sito Brasil de Fato, Carla Osmo, professoressa di diritto all'Università federale di São Paulo (Unifesp), ricorda che il Brasile ha tardato anni ad adottare una qualsiasi misura che garantisse memoria, verità e giustizia, portando i famigliari di morti e scomparsi a cercare le risposte da soli. Riporta inoltre:
No que diz respeito à responsabilização criminal, diferente do que aconteceu em outros países da América Latina, em que o Judiciário passou a observar a normativa internacional de direitos humanos admitindo os processos contra agentes do Estado por violações graves de direitos humanos, no Brasil essas ações seguiram sendo bloqueadas. O Ministério Público Federal, principalmente a partir da condenação do Estado brasileiro no caso Gomes Lund, em 2010, começou a promover uma série de ações de natureza criminal, que hoje já são dezenas. Mas elas, em regra, não são aceitas pelo Judiciário, que segue invocando a Lei de Anistia, contrariando o direito internacional dos direitos humanos.
Con riferimento alla responsabilità criminale, a differenza di quanto accaduto in altri paesi dell'America latina, dove la magistratura ha iniziato ad applicare le norme internazionali per i diritti umani ammettendo processi contro gli agenti di stato per gravi violazioni dei diritti umani, in Brasile queste azioni continuano a venire bloccate. Il Ministério Público Federal, principalmente a partire dalla condanna dello stato brasiliano nel caso Gomes Lund, nel 2010, ha iniziato a promuovere una serie di azioni di natura criminale, che ormai sono diventati decine. Ma queste azioni di solito non vengono accettate dalla Magistratura, che continua ad invocare la legge di amnistia, in contrapposizione al diritto internazionale dei diritti umani.
Il caso Gomes Lund, a cui fa riferimento, si riferisce al giudizio, da parte della Commissione interamericana dei diritti umani (CIDH) , contro lo stato brasiliano per violazioni nel contesto della Guerriglia di Araguaia. Tra il 1972 ed il 1975, il movimento di guerriglieri militanti del PC do B (Partito comunista del Brasile) [it] venne represso dal regime causando morti e sparizioni in risposta.
Alla ricerca della verità
La decisione richiesta, tra altre cose, era che il Paese ricercasse la verità in merito agli scomparsi, desse riparazione totale alle vittime e implementasse riforme istituzionali che rendessero impossibile il ripetersi di queste violazioni, oltre al riconoscimento pubblico ed inequivocabile delle responsabilità dello stato.
La dittatura militare brasiliana, durata oltre 20 anni, è stata un periodo contrassegnato da censura, persecuzioni politiche, arresti arbitrari, torture e sparizioni forzate, usati come strumenti per mettere a tacere gli oppositori e controllare la società.
Il regime ha inoltre perpetuato altri gravi abusi tra cui la violenza sessuale contro le donne, la persecuzione della popolazione di colore e le popolazioni indigene, e la soppressione dei movimenti sociali e culturali.
L’Atto Istituzionale numero 5 (AI-5), decretato nel 1968, ha segnato l'apice della repressione. Con esso, la tortura si è trasformata in una pratica istituzionalizzata – i racconti dei sopravvissuti parlano di metodi come scosse elettriche, pau-de-arara [it] ed annegamenti. La quasi totalità dei torturatori non è mai stata processata.
Nel 2019, dopo dichiarazioni fatte dall'allora presidente Jair Bolsonaro [it] (PL, Partito liberale), le vittime ed i loro famigliari hanno anche presentato alla CIDH una richiesta affinché l'organo internazionale richiedesse allo stato brasiliano il rispetto della memoria e dei diritti delle vittime. Nel 2023, la commissione ha anche espresso preoccupazione per la chiusura della Commissione Speciale sui Morti e gli Scomparsi Politici decisa alla fine del governo Bolsonaro. La commissione venne poi ripresa nell'agosto 2024 da Luiz Inácio Lula da Silva (PT, Partito dei lavoratori).
Quando era ancora deputato federale, Bolsonaro era noto per le posizioni in difesa della dittatura militare e gli omaggi resi agli oppressori. Era persino arrivato ad affiggere, sulla porta del suo ufficio, un manifesto che si faceva beffe della ricerca degli scomparsi di Araguaia, recitando ”chi cerca le ossa è un cane randagio”.
Dopo quarant'anni
Con la riapertura politica, a partire dal 1985, si sono formate associazioni di diritti umani e famigliari di morti e scomparsi che hanno dato visibilità ai crimini della dittatura ed alla ricerca di risposte. Il rapporto ”Brasile: mai più”, che raccoglie dati sulle torture e le violazioni avvenute nel periodo, è stato pubblicato nel luglio dello stesso anno.
La nascita di questi gruppi è stata fondamentale per portare lo stato brasiliano davanti a tribunali internazionali, come nel processo che è risultato nella condanna da parte della CIDH per la guerriglia di Araguaia. La creazione della Commissione Nazionale della Verità è stata una conseguenza del processo. La CNV ha tenuto udienze pubbliche e raccolto testimonianze in merito alle violazioni dei diritti umani avvenute tra il 1946 e il 1985 – periodo intercorso tra le ultime due costituzioni democratiche brasiliane, come dettagliato sul sito della commissione.
La relazione finale, pubblicata nel 2014, comprende 29 raccomandazioni alle autorità nazionali, tra cui responsabilizzare gli autori delle violazioni, la necessità di implementare politiche riparatorie e di memoria e rivedere la legge di Amnistia del 1979.
All'epoca il lavoro della CNV fu oggetto di critiche da parte di settori legati all'ambiente militare. Mesi prima della conclusione della relazione, ad esempio, in risposta ad una domanda della commissione, le Forze armate sono arrivate a negare che ci fossero stati abusi nelle istallazioni dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica utilizzate per le pratiche di tortura sotto il regime.
La professoressa Carla Osmo ha dichiarato a Brasil de Fato che le violazioni avvenute nel periodo esigono risposta non solo per le vittime, ma per tutta la società.
Caso não se promova o conhecimento do que foi a ditadura militar, quem e como foi atingido, isso dá espaço inclusive para a difusão da visão absurda de que a ditadura militar teria sido algo positivo, e de que a repressão que praticou teria sido legítima.
Se non si promuove la conoscenza di ciò che è stata la dittatura militare, di chi e come ne è stato colpito, si darà spazio alla diffusione dell'assurda idea che la dittatura militare fosse qualcosa di positivo, e che la repressione che praticava fosse legittima.
‘Morte innaturale, violenta, causata dallo stato’
Quasi quarant'anni dopo la fine dei 21 anni di dittatura militare, nel gennaio 2025, gli uffici di stato civile di tutto il Brasile hanno iniziato ad emettere certificati di morte che correggono la causa di morte delle vittime di repressione, senza necessità di decreti legali.
L'azione soddisfa una normativa del Consiglio Nazionale di Giustizia (CNJ). Come causa della morte adesso viene dichiarata la “morte innaturale, violenta, causata dallo Stato a persona scomparsa nel contesto della persecuzione sistematica di popolazione identificata come dissidente politica del regime dittatoriale instaurato nel 1964”.
In un rapporto del Jornal Nacional, della TV Globo, le ex detenute politiche Crimeia Almeida e Amélia Teles hanno accompagnato la rettifica del certificato dell'amico Carlos Nicolau Danielli, militante del Partido Comunista do Brasil, del quale avevano testimoniato la morte sotto tortura, con la dichiarazione:
A violência que ele sofreu foi causada pelo Estado autoritário, um Estado ditatorial. Está escrito aqui. Isso é uma questão de justiça.
La violenza che ha sofferto è stata causata dallo stato autoritario, uno stato dittatoriale. È scritto qui. È una questione di giustizia.