Quattro villaggi in Tibet hanno molto da dire su intelligenza artificiale e il futuro della diversità linguistica

Il museo della cultura tibetana di Rebgong è stato costruito su terreni acquisiti dal governo dalla comunità di lingua manegacha di Nyantok. Foto di Gerald Roche. Utilizzata con autorizzazione.

Gerald Roche [en, come i link seguenti] è professore associato di politica alla La Trobe University di Melbourne, Australia. Il suo lavoro si concentra su potere, stato, colonialismo e razzismo. Il suo pezzo sotto è stato originariamente pubblicato dalla Cornell University Press e viene ripubblicato qui con autorizzazione. 

L'intelligenza artificiale non salverà le lingue del mondo. Non farà praticamente alcuna differenza per le migliaia di comunità in tutto il mondo, attualmente messe sotto pressione per adottare lingue dominanti. Lo so per le lezioni che ho imparato studiando quattro villaggi in Tibet.

Se prendi le tue informazioni da altrove, ad esempio se ascolti i profeti della Silicon Valley, potresti essere pieno di entusiasmo per il potenziale dell'IA di salvare le lingue in pericolo del mondo. Sembra che stiamo facendo progressi, velocemente.

A giugno di quest'anno, gli scienziati che lavorano per Meta hanno pubblicato un articolo sulla rivista Nature in cui presentavano il loro progetto: “No Language Left Behind” (cioè Nessuna lingua lasciata indietro), che mira a creare un “sistema di traduzione universale” che supporterà le lingue in via di estinzione. Lo stesso mese, Google ha pubblicizzato l'aggiunta di 110 nuove lingue , tra cui tibetano, cantonese e afar, su Google Traduttore. In risposta a sviluppi come questi, un coro emergente di giornalisti, aziende tecnologiche e accademici ha iniziato a tessere le lodi dell'IA e del suo potenziale per salvare le lingue dall’Amazzonia all’Artico.

Il mio nuovo libro, “La politica dell’oppressione linguistica in Tibet”, contiene una serie di spunti che dovrebbero moderare il nostro entusiasmo. Il libro attinge a otto anni di vita e lavoro sull'altopiano tibetano nord-orientale in Cina, seguiti da diversi anni di ricerca in quattro villaggi dove circa 8000 tibetani parlano una lingua distinta che chiamano Manegacha.

Ciò che ho imparato in quei quattro villaggi è che, a meno che non vengano drasticamente modificate le relazioni economiche, sociali e politiche sottostanti, l'intelligenza artificiale non raggiungerà mai le comunità in cui è più necessaria.

Un complesso familiare, con stanze che circondano un cortile centrale, a Tojya, uno dei villaggi citati nel libro. Foto di Gerald Roche. Utilizzata con autorizzazione.

Primo: la dimensione economica. Le lingue in via di estinzione sono solitamente indebolite dal rifiuto dello Stato di fornire loro le risorse materiali di cui hanno bisogno per prosperare. La Cina ospita circa 300 lingue, ma la maggior parte delle risorse è destinata alla promozione della lingua nazionale, il cinese mandarino. Lingue come il manegacha non ricevono alcun supporto materiale dallo Stato, quindi niente scuole, niente libri, niente mass media, niente segnali stradali, niente traduzioni mediche o servizi di emergenza. Niente. Uno Stato che ha deliberatamente tagliato i fondi a così tante lingue non investirà le sue risorse nel costoso e laborioso processo di sviluppo dell'intelligenza artificiale per loro. Data l'onnipresenza globale del sottofinanziamento per le lingue minoritarie e indigene, mi aspetto che la Cina non sarà la sola in questo.

La dimensione sociale è la seguente. Le persone che usano lingue in via di estinzione sono solitamente emarginate socialmente, cronicamente non rispettate e sistematicamente discriminate. Lo Stato potrebbe giocare dare mano direttamente in questo, o potrebbe semplicemente garantire l'impunità ai colpevoli. In Cina, i tibetani sono considerati una popolazione culturalmente arretrata e potenzialmente sediziosa rispetto alla maggioranza Han. I parlanti di manegacha, nel frattempo, subiscono discriminazioni da parte di altri tibetani, in quanto minoranza linguistica nella più ampia comunità tibetana. Ovunque vivano, le persone che usano lingue in via di estinzione subiscono una qualche forma di supremazia di civiltà, oppressione razzista o sciovinismo culturale. L'intelligenza artificiale non farà nulla per rimuovere il privilegio e la presunzione che determinano lo stato delle lingue in pericolo.

La città di Rongwo. La città si sta espandendo verso nord (lato destro di questa immagine), verso i villaggi di lingua Ngandeghua e Manegacha. La punta settentrionale della città è già edificata su terreni acquisiti da Nyantok, una comunità di lingua Manegacha. Foto di Gerald Roche. Utilizzata con autorizzazione.

Infine, c'è la dimensione politica. Le comunità che usano lingue in via di estinzione sono in genere incapaci di migliorare la loro situazione materiale o sociale perché sono escluse dalle istituzioni e dai processi politici. Viene loro negato il diritto all'autodeterminazione e i loro diritti politici e civili vengono violati. La società civile in Cina è fortemente limitata e piccole comunità vulnerabili, come i parlanti di Manegacha, non possono mobilitarsi per difendere i diritti che vengono sistematicamente negati. L'intelligenza artificiale non cambierà questa situazione in Cina, né contribuirà in modo significativo a difendere la democrazia in un mondo in cui è sempre più minacciata. Questo perché le corporazioni che controllano la tecnologia AI sono esse stesse organizzazioni fondamentalmente antidemocratiche il cui movente di fondo è il profitto, non l'emancipazione politica.

Osservando il mondo dalla prospettiva di quei quattro villaggi in Tibet, è chiaro che l'intelligenza artificiale non può risolvere i problemi materiali, sociali e politici che stanno mettendo a rischio le lingue a livello globale. Nel concludere il mio libro, suggerisco come potremmo iniziare a muoverci verso soluzioni più efficaci, attraverso la costruzione di una solidarietà transnazionale, alla ricerca di un cambiamento sistemico significativo. Ma abbiamo ancora molta strada davanti a noi, molto da fare e troppo poco tempo per essere distratti dalle vuote promesse delle aziende tecnologiche.

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