Cosa pensano i Caraibi delle deportazioni di massa dell'amministrazione Trump?

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Subito dopo il suo secondo giuramento, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale di reprimere l'immigrazione illegale ordinando [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] voli di deportazione di massa; le nazioni caraibiche hanno monitorato attentamente gli sviluppi.
Secondo un documento pubblicato nel novembre 2024 dall’Immigration and Customs Enforcement (ICE) degli Stati Uniti, nell'ambito della sua iniziativa Enforcement and Removal Operations (ERO), sono stati identificati 97.148 cittadini caraibici. Alla data della comunicazione dell’ICE, risultavano nella lista di espulsione 1.445.549 clandestini con ordini di rimozione definitiva; Le persone provenienti dai paesi caraibici rappresentavano il 6,72% della lista.
Le nazioni con il numero più alto di deportati nell'elenco sono state Cuba (42.084), Haiti (32.363) e la Repubblica Dominicana (12.699). La Giamaica è in testa alla lista dei paesi caraibici di lingua inglese con 5.120, seguita dalla Guyana (1.236) e da Trinidad e Tobago (1.197). Si tratta però solo dell'elenco, non del numero effettivo di persone deportate con successo, poiché “la mancanza di cooperazione da parte dei paesi nell'accettare il rimpatrio dei propri cittadini può portare l'ICE a classificare tali paesi come non collaborativi o a rischio di inadempienza”. Cuba è stata ritenuta “non collaborativa”, mentre Giamaica e Santa Lucia sono considerate a rischio di inadempienza.
Possono entrare in gioco le tutele legali previste dalle convenzioni internazionali, nonché le sfide diplomatiche e persino logistiche, sottolineando le sfumature coinvolte nella migrazione regionale verso gli Stati Uniti, che ospitano grandi e vivaci comunità della diaspora caraibica. Naturalmente, gli ordini di deportazione dell’amministrazione Trump hanno contribuito ad alimentare un dibattito online sulla questione.
Verso la fine di gennaio, due diplomatici della Comunità caraibica (CARICOM) – l’ambasciatore di Antigua negli Stati Uniti, Sir Ronald Sanders e l’ambasciatore di Barbados presso la CARICOM, David Commissiong – hanno consigliato ai governi regionali di prepararsi all’afflusso di deportati.
Sul suo blog, Sanders ha osservato che “le implicazioni, in particolare per i cittadini caraibici, meritano un’attenta considerazione”. Uno dei punti a cui fa riferimento è la questione di un ordine esecutivo presidenziale (EO) intitolato “Proteggere il significato e il valore della cittadinanza americana”, che mira a interrompere la cittadinanza per nascita per i bambini nati in America da genitori che non sono cittadini statunitensi o residenti permanenti legali.
“Ciò mette direttamente in discussione l’interpretazione di lunga data del XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”, ha scritto Sanders. Ha inoltre spiegato: “È ampiamente noto che alcuni cittadini provenienti da paesi stranieri, tra cui l’America Latina [e] i Caraibi, scelgono di far nascere i propri figli negli Stati Uniti, sperando che ciò consenta loro […] di presentare domanda con successo per la residenza permanente o la cittadinanza”.
Sebbene l'EO non abbia il potere di privare retroattivamente della cittadinanza coloro che sono già nati negli Stati Uniti, è probabile che in futuro i bambini nati da titolari di visti non immigrati non avranno diritto alla cittadinanza. “Finché non verrà presa una decisione da parte del tribunale”, ha avvertito Sanders, “i cittadini caraibici, in particolare le donne incinte, dovrebbero aspettarsi controlli più severi quando entrano negli Stati Uniti. È probabile che i funzionari dell'immigrazione esaminino più attentamente lo scopo del viaggio e che l'ingresso venga negato se sospettano l'intenzione di partorire nel paese”.
Naturalmente, la campagna di deportazione mette in allarme i migranti clandestini provenienti dai Caraibi. Mentre Sanders ha convenuto che “è un diritto sovrano degli Stati Uniti e di ogni altra nazione elaborare e attuare le proprie politiche sull’immigrazione”, la realtà è che non tutte le nazioni collaboreranno per riprendersi i propri cittadini. Ha ammesso, tuttavia, che è “improbabile che questa posizione venga adottata dalla maggior parte delle nazioni di lingua inglese dei Caraibi [il cui] carattere sociale e i cui principi non permetterebbero loro di voltare le spalle a se stessi”.
In tal senso, St. Lucia’s Choice TV ha valutato la reazione locale alla probabilità di dover accogliere persone deportate. La maggior parte delle persone concorda sul fatto che gli Stati Uniti, come ogni altro Paese, hanno il diritto di far rispettare le proprie leggi. Altri erano preoccupati per le ripercussioni di potenziali “criminali” sulle società insulari più piccole, molte delle quali già alle prese con la criminalità violenta. Un uomo si augurava che i cittadini che rientreranno nel Paese d'origine possano “trovare un posto dove riposare la testa” – una preoccupazione valida poiché, col tempo, molti migranti tendono a perdere il contatto con le loro basi di appoggio nei Caraibi.
Sanders, da parte sua, ha messo in guardia: “Assorbire un gran numero di deportati all'improvviso può avere un effetto destabilizzante sui servizi sociali dei governi CARICOM, in particolare in relazione all'assistenza sanitaria e all'istruzione. La pressione aggiuntiva potrebbe esacerbare la disoccupazione e, potenzialmente, contribuire a un aumento dei tassi di criminalità”. Ha anche suggerito che – soprattutto perché “gli Stati Uniti godono di un significativo surplus della bilancia commerciale con i paesi CARICOM, mentre i loro aiuti alla regione costituiscono meno dello 0,1 percento del loro budget totale di aiuti” – le nazioni caraibiche dovrebbero essere in grado di “rappresentarsi adeguatamente” davanti al governo degli Stati Uniti se le sfide derivanti dalle deportazioni di massa diventano “ingestibili”.
Il primo ministro di Saint Vincent e Grenadine, il dott. Ralph Gonsalves, ha già espresso preoccupazione per le informazioni limitate fornite sui precedenti penali dei cittadini vincenziani presenti nella lista di espulsione, che ha definito “essenziali per la reintegrazione”.
Nel frattempo, l’ambasciatore David Commissiong ha suggerito che il prossimo vertice CARICOM, previsto per metà febbraio, offra ai leader regionali l’opportunità di creare una politica condivisa in merito ai cittadini caraibici che rimpatriano involontariamente e di discutere i modi in cui “potremmo aiutare queste persone a reintegrarsi nelle nostre società”.
Parte della sfida è il linguaggio usato nelle società caraibiche in merito alla deportazione, con termini come “deportazione di massa di cittadini” che spesso portano a percezioni negative di coloro che sono coinvolti. In Giamaica, ad esempio, l'etichetta comunemente usata “deportati” porta con sé uno stigma negativo. Molti di coloro che si offendono per il termine affermano che sostiene l'assunto errato che tutti gli immigrati deportati siano criminali, eppure la correlazione continua a essere propagata in gran parte dai media locali.
Il defunto professore di criminologia giamaicano Bernard Headly, un convinto sostenitore del cambiamento nella concettualizzazione del termine “deportato”, una volta affermò che “i deportati sono, a loro eterno detrimento, visti tra i guardiani delle opportunità della nazione (in particolare negli uffici del personale e negli istituti di credito) come minacce criminali generiche, “indipendentemente dal motivo” della loro deportazione. “Secondo questa narrazione, non ci si può aspettare altro che ulteriori danni da parte loro”.
Tuttavia, le statistiche spesso non corroborano questa visione. Headly spesso esortava i suoi studenti a essere più critici nel loro pensiero ed indicando che “i criminali o i condannati deportati (non le persone deportate per semplici violazioni dell'immigrazione) sono di due tipi. Uno dei due, che costituisce la stragrande maggioranza, è quello degli individui condannati per vari crimini, per lo più reati di droga, ma anche per crimini come furto nei negozi e assegni scoperti”.
Il professor Andy Knight, in un articolo per la rivista di notizie Caribbean Camera con sede in Canada, una delle più grandi pubblicazioni al servizio della comunità della diaspora in quel paese, ha osservato che le deportazioni avranno inevitabili effetti a catena, tra cui “l'esaurimento delle rimesse in denaro provenienti dagli Stati Uniti che normalmente beneficiano un gran numero di famiglie che vivono nei Caraibi”. Tali rimesse sono una fonte significativa di entrate per i territori regionali.
Knight ha sostenuto che tutto ciò, oltre alla politica commerciale ed economica “America first” dell'amministrazione Trump, potrebbe avere un impatto negativo sulle economie regionali, proprio come la sua posizione sulla crisi climatica è in conflitto con gli interessi della regione. Le nuove politiche americane, ha concluso, comprese le deportazioni di massa, stanno mettendo in gioco una “nuova diplomazia regionale” che ha il potenziale per “creare divisioni all'interno della CARICOM, ponendo così delle sfide all'unità regionale tra i piccoli stati nei Caraibi, stati che sono già di fronte a formidabili pressioni esterne e a diversi interessi nazionali”.