Gli ostacoli culturali e burocratici dei bambini nati da violenza sessuale in Uganda

Immagine di Minority Africa (usata su autorizzazione).

Questo articolo è stato scritto da Patricia Namutebi per Minority Africa [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione]. Una versione rivisitata è pubblicata da Global Voices come parte di un accordo di condivisione dei contenuti. Tutti i nomi sono stati modificati per motivi di privacy.

Jane Francis non ha mai conosciuto suo padre. Un giorno, quando aveva 15 anni, raggiunse sua madre per un'eccitante giornata in città. Mentre passeggiavano, incontrarono un'amica della madre, la quale non poté fare a meno di notare la forte somiglianza tra le due.

“È mia sorella”, rispose sua madre.

“Il mio cuore sprofondò”, ricorda Jane. “Più tardi mia madre mi chiese di accettare quella bugia, perché non poteva dire alle persone che ero sua figlia.”

Jane fu turbata dall'accaduto, ma non pressò sua madre per avere delle risposte. Solo quando ebbe 17 anni la donna le rivelò la verità sul suo concepimento: quando aveva 18 anni fu violentata nella sua camera d'albergo. Molto probabilmente l'aggressore fu l'uomo della camera accanto, ma lui negò sempre.

“Mia madre spera che un giorno lo farà arrestare e sottoporre a un test del DNA”, racconta Jane. “Vive ancora nell'illusione”.

Lo stupro è tra i crimini più comuni in Africa. Un recente studio condotto da Equality Now evidenzia i numerosi ostacoli che una vittima di violenza sessuale deve fronteggiare per avere giustizia, tra cui leggi insufficienti, scarsa risposta da parte delle istituzioni, false credenze sullo stupro e colpevolizzazione della vittima. Questi ostacoli impediscono a molti casi di essere portati in tribunale, lasciando impuniti la maggior parte degli aggressori. Di conseguenza alle vittime, vulnerabili e abbandonate a se stesse, viene a mancare il supporto di cui avrebbero bisogno.

Da quando ha saputo la verità sul suo concepimento, Jane combatte con la sua identità: “Non so chi sia mio padre, né a quale clan appartengo”, afferma.

I do not feel a sense of belonging. My mother says that according to our culture, it is shameful to have a child without a clan. I have to always live in disguise as her sister, she added.

Non sento un senso di appartenenza. Mia madre dice che, secondo la nostra cultura, avere un figlio non appartenente a un clan è motivo di vergogna. Per questo motivo devo sempre fingere di essere sua sorella.

Ricorda un episodio a scuola, quando le fu chiesto il cognome, il quale tradizionalmente prende origine da un clan:

Whenever I mention my name, I become a laughing stock as comments rise on how I have no clan. Why can’t I have my own name as I don’t belong to any clan or family?

Ogni volta che menzionavo il mio nome diventavo uno zimbello e i commenti sui motivi per cui non avessi un clan aumentavano. Perché non posso avere un mio nome se non appartengo a nessun clan o famiglia?

La necessità di conoscere le proprie origini non è mai stata cosi importante quanto oggi nel paese dell'Africa orientale. Infatti, in molte culture ugandesi il cognome indica la discendenza paterna, ma anche l'etnia, il clan e il lignaggio, elementi cruciali per l'organizzazione sociale e le relazioni.

I cognomi giocano inoltre un ruolo cruciale nell'identificazione legale, essendo essenziali per documenti come il certificato di nascita o la carta di identità.

Spesso Jane ha sognato di lasciare il paese alla ricerca di opportunità migliori, con la speranza di ricominciare un nuova vita e creare una famiglia propria:

Years ago, when I tried to apply for a passport at the passport office here in Uganda, my mother was told to go and get the details of my father, even if she confessed that she did not know where he was.

Anni fa, quando ho cercato di fare domanda per il rilascio del passaporto presso gli uffici competenti qui in Uganda, è stata richiesta la presenza di mia madre, la quale avrebbe dovuto fornire informazioni su mio padre, pur non sapendo dove fosse.

Questo requisito è cambiato: ora le persone non sono tenute a rilasciare informazioni sul proprio padre se queste non sono disponibili. Nel 2015 con la creazione dell’Autorità Nazionale per l'Identificazione e la Registrazione (NIRA), un'ente governativo che gestisce il registro nazionale di identificazione dell'Uganda, il sistema è diventato più automatizzato e inclusivo.

Michael Muganga, il responsabile delle pubbliche relazioni del NIRA, spiega che i bambini nati da stupro o gravidanze indesiderate sono categorizzati come orfani. “Al NIRE riconosciamo gli orfani e rispettiamo i nomi con cui si identificano”, afferma. Il termine “orfano” si riferisce a un bambino abbandonato ed è usato in documenti ufficiali relativi a welfare, adozione o cittadinanza quando l'identità dei genitori è sconosciuta o quando questi hanno rinunciato alla propria responsabilità genitoriale.

Muganga consiglia ai richiedenti di osservare attentamente il modulo di identificazione: “C'è una sezione nominata ‘padre sconosciuto’. Ogni vittima di stupro o gravidanza indesiderata dovrebbe compilarla”, spiega.

Tuttavia, esaminando il modulo, emerge che se da una parte c'è l'opzione “padre sconosciuto”, che consente di completare la compilazione del modulo senza problemi, dall'altra non c'è un'opzione corrispondente a “madre sconosciuta”, lasciando i soggetti richiedenti senza una valida alternativa.

Inoltre, alcune persone raccontano un'esperienza differente: quando hanno compilato la richiesta di passaporto online, gli è stato richiesto di fornire molti dettagli famigliari come ad esempio il clan, il nome da nubile delle madre e informazioni sul luogo di nascita dei genitori, inclusi la città e la regione.

Per verificare la nazionalità ugandese, ai richiedenti viene chiesto di presentarsi presso gli uffici competenti per un colloquio, durante il quale, oltre al fotosegnalamento, vengono sottoposti a domande aggiuntive. Secondo le testimonianze di alcuni, se un richiedente fatica a parlare fluentemente la propria lingua madre o indica di non parlarla per diverse ragioni, può essergli chiesto di tornare con un parente per confermare la propria identità.

Secondo Muganga per rendere più semplice il rilascio di documenti ufficiali durante il processo di identificazione, le organizzazioni che lavorano con bambini di genitori ignoti dovrebbero fornire documenti giustificativi, come i verbali della polizia.

Stella Anam, direttrice del War Victims and Children Networking (WVCN) nel nord dell'Uganda, ha fondato una sua organizzazione per aiutare donne e bambini vittime del conflitto dell’Armata di resistenza del Signore (LRA) [it] a reinsediarsi. La LRA è un movimento ribelle che ha causato più di un milione di profughi e 100,000 morti, secondo le stime delle Nazioni Unite. Questo conflitto ha determinato lo sposamento di centinaia di migliaia di  bambini, molto dei quali, essendo rimasti orfani, non riescono a risalire alle loro origini e di conseguenza a ottenere i documenti identificativi.

Un problema che l'organizzazione riscontra è che, nonostante la presentazione dei documenti necessari, gli uffici del NIRA ancora chiedono a questi bambini informazioni sull'identità dei padri e sui clan. Anam nota che sebbene l'incontro del 2023 con alcuni funzionari del NIRA abbia portato a dei miglioramenti, il problema permane.

Aciro Sandra aveva 4 anni quando ha appreso di essere nata in Sud Sudan, dove i suoi genitori erano prigionieri della LRA, capeggiata da Joseph Kony [it]. Anni dopo, quando ha fatto richiesta per il documento di identità, ha esitato nel fornire i dati di suo padre.

“Ho avuto paura di usare il suo nome a causa della sua storia”, afferma. Suo padre infatti è passato dall'essere prigioniero a comandante della LRA. Nel 2004, la famiglia di Sandra è stata rilasciata e si è stabilita a Gulu, una città nel nord dell'Uganda. Oggi i documenti della donna riportano i dati di suo padre, sebbene viva in una nuova città dove nessuno conosce il suo passato famigliare.

Vittime come Sandra affrontano stigma, violenza di genere ed emarginazione.

On top of that the victims, especially the children, still suffer trauma, and rejection by their clans leading to a major identity challenge, Anam adds.

In aggiunta, le vittime, soprattutto i bambini, sono ancora traumatizzate e il rifiuto dei loro clan porta a una sfida identitaria importante, afferma Anam.

Una beneficiaria dell'iniziativa di Anam racconta la propria esperienza:

Even if I am a victim, I cannot talk about rape. It is a taboo here, I might even never get married because of that.

Anche se sono una vittima, non posso parlare di stupro. È un tabù qui e potrei anche non sposarmi mai per questo.

Jane lotta ancora con il trauma dell'esperienza di sua madre. Per il suo paese desidera ardentemente un sistema giudiziario che condanni i colpevoli e supporti le vittime, invece di umiliarle.

Sometimes, when women report rape cases, they are instead accused of being promiscuous or somehow enabling the violence, which is far from the truth,” she says, her frustration evident.

A volte quando le donne denunciano casi di violenza sessuale sono accusate di promiscuità o in qualche modo di essersela cercata, il che è lontano dalla verità”, afferma con evidente frustrazione.

Mary Nakiranda, un'avvocatessa di FIDA Uganda, chiarisce che non ci sono leggi specifiche per gli orfani, i quali sono considerati al pari di tutti gli altri bambini. “Dal momento che sono il risultato di uno stupro, le famiglie e la società devono accettarli così come sono”, afferma. Aggiunge: “Se le vittime conoscono l'identità dei responsabili, dovrebbero segnalarlo alle forze dell'ordine o a organizzazioni come FIDA Uganda, le quali possono effettuare test del DNA  per stabilire la parentela. I padri non solo si prenderanno le loro responsabilità, ma saranno anche accusati per i crimini commessi”.

Jane intanto mantiene le distanze dagli uomini. ” Sono ancora sconvolta per la storia di mia madre. Non mi sento al sicuro con gli uomini”, ammette. “La mia più grande paura è avere figli. Sono preoccupata per la vita che potrebbero avere (in termini di identità)”.

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