Il cibo georgiano diventa internazionale

Foto di Elliot Friar, usata con permesso.

In una tranquilla viuzza del quartiere Lavapiés di Madrid, la luce soffusa di un ristorante si riflette su tavoli adornati di bicchieri colmi non di Ribera sacra [es] (vino spagnolo), ma di Saperavi [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] georgiano dal colore intenso. Sulle pareti, tra fotografie in bianco e nero che raccontano storie lontane, sono appesi piccoli qvevri [it] fatti a mano. Si tratta di antichi recipienti a forma di uovo usati da millenni per la fermentazione sotterranea del vino. Didedas è uno dei sei ristoranti georgiani della capitale spagnola, cinque dei quali hanno aperto dal 2023.

“Quando ci siamo sposati, nessuno sapeva dove fosse la Georgia,” raccontano i proprietari Ana Elbakidze, di Tbilisi, e Alfredo Muñoz, di Madrid. “E quando abbiamo aperto, quasi tutti i clienti assaggiavano la cucina georgiana per la prima volta.”

Oggi, a quasi due anni dall'inaugurazione, trovare un tavolo è un’impresa, mentre i piani di espansione prendono forma tra chiacchiere animate e il profumo avvolgente dei nigvziani badrijani, morbidi involtini di melanzane farciti con una crema di noci, preparati con maestria.

Nigvziani badrijani (involtini di melanzane con noci). Foto per gentile concessione di Elliot Friar.

La cucina georgiana non è più una sconosciuta. La rivista New Yorker ne aveva previsto l’ascesa già nel 2019, e ora il suo momento è finalmente arrivato in tutta l’Europa occidentale. Al di fuori di Madrid, a Londra, quasi un terzo dei ristoranti georgiani presenti su Google ha aperto negli ultimi due anni, una crescita che supera di gran lunga il lento progresso del settore della ristorazione locale. All'inizio del 2025, anche la Danimarca ha accolto il suo primo ristorante georgiano nel raffinato quartiere di Østerbro. Perfino la guida Michelin ha preso nota, inserendo per la prima volta ristoranti georgiani nella sua prestigiosa selezione a New York, a Madrid e a Londra.

Cosa ha spinto l’ascesa della cucina georgiana [it]? Le ragioni sono, almeno in parte, piuttosto semplici. L’embargo russo sul vino georgiano del 2006, che all'epoca colpì oltre l’80% delle esportazioni, costrinse i produttori a specializzarsi e a puntare sui grandi mercati degli Stati Uniti e dell'Europa. Il divieto arrivò dopo la Rivoluzione delle Rose del 2003, che portò al potere un nuovo leader e introdusse riforme commerciali di stampo neoliberale. Sebbene l’embargo sia terminato nel 2013 e la Russia resti tuttora il principale acquirente di vino georgiano, la crescente popolarità del vino naturale ha favorito l’espansione delle esportazioni verso i mercati più ricchi, sia in termini di volume che di valore. Ana e Alfredo, che si erano conosciuti lavorando in un bar a Londra, si sono trasferiti per un breve periodo in Georgia nel 2006, ma hanno lasciato il paese a causa dell’instabilità, trovando infine casa a Madrid.

Varietà tradizionale di pkhali e pane di mais. Ph. Elliot Friar.

Un altro fattore potrebbe essere il legame politico sempre più stretto con l’Europa. Dopo la liberalizzazione dei visti con l’area Schengen [it] dell’UE nel 2020, la Georgia ha registrato un numero sorprendentemente elevato di richieste d’asilo, tanto che nel 2023 il Bundesrat l’ha dichiarata un paese sicuro, riducendo le possibilità di approvazione per la maggior parte delle domande. Tuttavia, i flussi migratori regolari, compresi quelli legati all'asilo, restano limitati, nell'ordine di poche decine di migliaia di persone.

Oltre alla liberalizzazione dei visti Schengen, il turismo dall'Europa verso la Georgia è in piena espansione. British Airways ha annunciato che, dal 2025, opererà quattro voli diretti a settimana tra Londra e Tbilisi. Ana racconta che uno dei suoi clienti spagnoli, un adolescente, dopo un viaggio in Georgia, ha imparato abbastanza la lingua da riuscire a conversare tra un boccone e l’altro di medovik, la torta al miele a strati tipica delle cucine ex sovietiche. Piatti come questo potrebbero spiegare l’aumento del turismo israeliano, oggi il più numeroso in Georgia dopo quello dai paesi confinanti. Un fenomeno probabilmente legato alla presenza di oltre un milione di israeliani russofoni, frutto delle migrazioni post-sovietiche. Forse, gli israeliani sono attratti dalle influenze persiane della cucina georgiana, in quello che l’economista Tyler Cowen definisce “multiculturalismo senza controversie”.

Anche altri fattori potrebbero aver contribuito a questa tendenza, come il crescente costo della ristorazione e l’aumento degli stipendi nel settore. Queste condizioni rendono più appetibili piatti con ingredienti rari e tecniche complesse: perché spendere 15 sterline per un hamburger quando con 16 sterline si può provare un piatto di khinkali [it], i ravioli georgiani, nati dallo scambio culturale lungo la Via della Seta? I khinkali si mangiano con le mani, lasciando da parte il piccolo gambo di pasta che funge da impugnatura. Oltre a offrire un’esperienza autentica, diventano un simbolo di conoscenza gastronomica per chi ama sperimentare nuove tradizioni. Questo è particolarmente vero tra i consumatori ad alto reddito, che stanno aumentando la spesa per i pasti fuori casa, mentre per le fasce meno abbienti la spesa è rimasta stabile.

Ad esempio, trovare il sulguni (formaggio georgiano in salamoia), il cuore (guli) e l’anima (suli) della cucina georgiana, è stata una vera sfida per Didedas. Per riuscirci, hanno collaborato con un casaro spagnolo che non aveva mai prodotto questo formaggio, chiedendogli di avviare solo la fermentazione e poi consegnare la cagliata al ristorante, dove veniva lavorata e stagionata. Per quanto riguarda la tecnica, Ana racconta di non conoscere georgiani a Madrid, ma di aver bisogno della loro esperienza culinaria e della loro proverbiale ospitalità. “Sapevo che c’era un solo posto dove trovarli: la chiesa. Ed è così che ho formato il mio team.”  Questa combinazione, in cui la religiosità georgiana si intreccia con il fascino di una tradizione gastronomica esotica, ci invita a guardare alla lunga storia della diffusione culturale della Georgia per capire il crescente successo della sua cucina.

La storia della cultura georgiana

Per comprendere la diffusione culturale della Georgia, si può partire dalle rappresentazioni romantiche di Leo Tolstoj e Mikhail Lermontov, che nella letteratura russa descrivevano una vita tradizionale e profondamente rurale. Queste immagini riflettono in parte il lavoro del poeta georgiano Ilia Chavchavadze, il quale si impegnò a costruire un’identità nazionale riscoprendo la storia, la cultura e la lingua georgiana, pur mantenendo un forte apprezzamento per la cultura imperiale, come osserva lo storico Adrian Brisku. All'inizio del XX secolo, la breve esperienza della Repubblica Democratica di Georgia rafforzò questa visione, sottolineando il legame storico e culturale del paese con la Grecia e l’Europa. E mentre Esiodo narrava il mito di Prometeo e della sua punizione in una grotta georgiana, cinquemila anni prima, in Georgia si produceva già vino nei qvevri sotterranei, un’eredità che molti studiosi considerano l’origine stessa della viticoltura mondiale.

Dopo l’invasione sovietica, un membro del consorzio vinicolo georgiano Samtrest fu incaricato di aprire un ristorante nel cuore del quartiere dei teatri di Mosca. Nacque così Aragvi, un locale che esaltava il fascino delle influenze persiane e turche, servendo il cosiddetto “caffè orientale” agli spettatori d’opera e guadagnandosi, per decenni, un posto nelle guide turistiche Fodor’s in lingua inglese. Il Cremlino esercitava un rigido controllo, ma qualche spazio di resistenza rimaneva: nel 1978, dopo un tentativo di imporre il russo come lingua ufficiale, le forti proteste costrinsero Mosca a riconoscere il georgiano come unica lingua ufficiale. Una vittoria simbolica, che però lasciò escluse ampie comunità di minoranze etniche.

Negli anni successivi all'indipendenza, i rapporti della Georgia con Russia e Unione Europea hanno subito profondi cambiamenti. Il partito al governo, Sogno Georgiano [it], si è avvicinato sempre più a Mosca, compromettendo rapidamente le relazioni con l’Occidente e accusando i movimenti progressisti, come quelli a favore dei diritti LGBTQ+, di minacciare le tradizioni del paese.

Il filosofo Roland Barthes sostiene che la cucina francese, la prima vera “cuisine”, può innovarsi solo riscoprendo antichi segreti, perché ogni piatto rappresenta “la sopravvivenza saporita di una vecchia società rurale” in contrasto con la modernità incalzante.

Anche la cucina georgiana si distingue in Europa occidentale per il suo legame tra mito e realtà pre-moderna. Tuttavia, il paese subisce anche le conseguenze più concrete di un'adesione politica alla tradizione. Riprendendo un'espressione cara agli ambienti dell'ultradestra online, la gastronomia offre un “ritorno” privo di controversie per i commensali di oggi, proprio come accadeva un tempo a Mosca, dove la cucina georgiana affascinava per il suo esotismo.

Kinkally è uno dei nuovi ristoranti georgiani di Londra, aperto pochi anni dopo la chiusura definitiva di Aragvi a Mosca. Qui la tradizione si reinventa: si possono gustare khinkali al wasabi dalle striature nere, rigorosamente con le mani, prima di scendere al “Kinky Bar” per un drink. Negli anni ’40, lo studioso tedesco William Haas, consulente del governo iraniano, si lamentava dell’occidentalizzazione della cucina persiana: “La ricca e sontuosa cucina persiana, con la sua straordinaria varietà di piatti deliziosi, sta scomparendo rapidamente… l’influenza delle abitudini occidentali non fa che aumentare la monotonia della vita nel mondo.” Ma se per Haas la globalizzazione minacciava le tradizioni culinarie, lo storico iraniano Houchang Chehabi ribalta la prospettiva: la cucina persiana è più viva che mai proprio grazie alla sua diffusione internazionale e alla contaminazione con altre tradizioni. “La sua presenza nel mondo ha contribuito ad alleviare la monotonia altrove.”

Mentre l'identità georgiana è al centro di tensioni interne e pressioni esterne, la sua cultura culinaria racconta una storia che attraversa queste divisioni. L’acharuli khachapuri, ad esempio — piatto iconico e amatissimo su Instagram — nasce in una regione georgiana al confine con la Turchia, abitata da una comunità musulmana, a dimostrazione di un passato fatto di intrecci e contaminazioni. L'auspicio è che il fascino di queste radici non si trasformi nell'attrazione per idee meno digeribili, come il nazionalismo dell’ “noi contro loro” o l'imperialismo del “forte sul debole.”

Da Didedas, tre bandiere disegnate a pastello, Spagna, Georgia e Ucraina, spiccano dietro il bancone. “Mia sorella protesta ogni giorno in Georgia”, racconta Ana. “E vogliamo sostenere anche il popolo ucraino.”

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