Cosa pensano i giovani indigeni brasiliani dei cambiamenti climatici?

Partecipanti indigeni all'”Acampamento Terra Livre” nel 2024. Foto: Marcelo Camargo/Agência Brasil. Uso consentito.

Il presente articolo, scritto da Guilherme Cavalcanti e modificato da Thiago Domenici, è stato pubblicato in origine sul sito di Agência Pública [pt, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] il 10/04/2025. Viene pubblicato in edizione modificata per questioni di dimensioni e contesto, secondo un accordo di condivisione con Global Voices.

Gli effetti della crisi climatica si vedono nella routine di pesca, agricoltura di sussistenza e nei propri corpi, modificando abitudini e modi di vita di diverse regioni brasiliane. Questo è quanto percepiscono i giovani indigeni di etnie differenti, secondo quanto raccolto da Agência Pública, in occasione della maggior mobilitazione indigena del Paese, l’Acampamento Terra Livre (ATL) [en], che avviene sempre in aprile.

“La gente ormai non pesca più come pescava sei, otto anni fa. Nell’Isola Bananal [it] (la maggiore isola fluviale nel mondo), l'anno scorso si sono verificati molti incendi.  È un insieme di cose che li influenza. “Nel caso del mio popolo Karajá [it], non avremmo mai pensato “ah, mancherà il pesce”. Adesso la gente deve andare a pescare in un lago specifico, capisci?” ci racconta Maluá Silva Kuady Karajá, di 25 anni.

Ci fa presente che l'avanzata del riscaldamento globale non si riscontra solo nei dati scientifici.  La giovane indigena afferma che “il quotidiano cambia completamente. È cambiato il bioma, la fauna, le nostre esperienze, la nostra vita. E porta con se altre difficoltà che esulano dalla questione climatica”.

L'edizione 2025 del movimento ha come uno degli argomenti principali la garanzia del protagonismo indigeno nel COP30, conferenza climatica dell'ONU che avrà luogo a Belém, nello stato di Pará, regione nord del Paese, a novembre. La campagna “A Resposta Somos Nós” (la risposta siamo noi), organizzata dalla Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (Apib) (articolazione delle popolazioni indigene del Brasile), propone che la demarcazione delle terre indigene venga inserita come strategia nelle mete ambientalistiche dei paesi amazzonici.

“Discutere delle questioni ambientali senza che gli indigeni siano parte protagonista sta iniziando a diventare, come minimo, un problema, soprattutto qui nel nostro paese, dove le principali riserve [di risorse naturali] si trovano all'interno dei nostri territori.” ci spiega Maluá. Sottolinea che la lotta per la terra non è solamente per l'esplorazione a fini economici, ma per discutere la questione ambientale. “[Questa discussione] interessa molti aspetti essenziali per la nostra esperienza”.

Secondo MapBiomas, piattaforma che aiuta a mappare la registrazione e l'uso dei territori in Brasile, le terre indigene in Brasile rappresentano il 13% del territorio nazionale, ma contano solamente l'1% di perdita della vegetazione autoctona nel periodo dal 1985 al 2023.

‘Non possiamo piantare’

Giovani indigene all'ATL con lo striscione: ”La gioventù indigena – piantando il futuro con la forza degli antenati”. Foto: Guilherme Cavalcanti/Agência Pública

Yan Mongoyó, 21 anni, vive in un territorio di collegamento tra i biomi della Foresta atlantica [it] e della Caatinga [it], a sud-est di Bahia, regione nordorientale del Paese, e spiega che la lunga siccità ha impedito in diversi modi l'agricoltura familiare. “È molto secco, non riusciamo a piantare. Ha piovuto, la gente ha piantato, ma le piante non sono sopravvissute. Intanto la gente è molto preoccupata perchè la nostra comunità non è rifornita da acqua corrente bensì da camion cisterna, una cisterna ogni tre famiglie. Perciò non sappiamo come piantare” ci racconta. Il popolo è quello che soffre di più, soprattutto i produttori di agricoltura familiare.

Yan critica anche il progresso dell'agroalimentare sui territori indigeni, soprattutto nelle regioni storicamente dimenticate dai media e dal potere pubblico.

“Non importa di quale regione si tratti, [i ruralisti] stanno invadendo, distruggendo tutto ciò che possono distruggere, e la gente soffre. È una condizione che interessa tutte le popolazioni” ci dice. “Ho letto alcuni giornali e penso che, in primo luogo, ormai stereotipano le persone. Normalmente, si parla molto dell'Amazzonia, dimenticando altri due biomi altrettanto importanti. La Caatinga ed il Cerrado stanno soffrendo a sufficienza con queste questioni climatiche ed agrarie” afferma Yan.

L'assenza di informazioni in merito al Cerrado [it] è una delle questioni che Letícia Awju Torino Krikati, 20 anni, cerca di cambiare nella sua regine. Unica indigena nel parlamento statale di Maranhão, la consigliera di Montes Altos vuole dimostrare l'importanza del bioma per il Paese “poiché è dove nascono alcuni dei fiumi principali, essendo una base idrografica estremamente importante per noi”.

Letícia racconta di affrontare difficoltà per portare l'argomento ambientale nella politica municipale, poiché in Montes Altos non esiste ancora un a Segreteria per l'Ambiente. “Ciò influisce anche nelle discussioni relative ai cambiamenti climatici nei territori indigeni. Abbiamo una Segreteria per le Questioni Indigene, ma deve lavorare alla pari con le altre Segreterie” afferma la consigliera.

Ricorda che i territori Krikati [en], del suo popolo, attendono ancora la decisione del Tribunale per venire, di fatto, consegnati agli indigeni. Secondo l’Isa (Instituto Socioambiental), oltre 250 processi di demarcazione di terre indigene non sono ancora conclusi in Brasile.  La tesi del quadro temporale, che difende la tesi dei popoli indigeni a mantenere il diritto sulle terre che occupavano fino alla Costituzione del 1988, pur essendo stata considerata incostituzionale dal STF (Supremo Tribunale Federale), è diventata legge del Parlamento.

Estrazione mineraria ed alimentazione

“Il termine “agroecologia” oggi viene utilizzato dai non-indigeni, ma si sa che l’agroecologia è un’appropriazione delle conoscenze indigene, del sapere tradizionale”, afferma Evelin Cristina Araújo Tupinambá, 27 anni, insegnante di geografia a Goiânia [it].  In classe unisce scienza ed ancestralità per spiegare agli studenti i cambiamenti climatici ed il collegamento tra i territori indigeni e la preservazione.

Evelin evidenzia inoltre come l'interesse indigeno vari a seconda del territorio e dell'esperienza di ogni popolo. Nel suo caso, vivendo da anni nella capitale dello stato di Goiás, nella regione centro-orientale, una delle sue principali lotte è legata alla preservazione del Cerrado. Compara questa realtà con quella del suo popolo, che vive in Amazzonia, dove le sfide sono diverse – come la presenza di depositi di legname, l'estrazione illegale e l'inquinamento dei fiumi.

“Sono contesti diversi ma, sapete?, la gente si unisce. È per questo che le lotte non si dissociano, anche se parliamo di territori e biomi diversi, ma la nostra lotta è la stessa” spiega Evelin. “Abbiamo l'opportunità di ufficializzare le denunce. È una porta di accesso al Parlamento, alla Camera [dei Deputati]. Direttamente con le azioni che – istituzionalmente parlando – facciamo accadere”.

Maria Lilane, 24 anni, del popolo Baniwa, di São Gabriel da Cachoeira, nello stato di Amazonas, regione settentrionale del Brasile, vede l'ambiente come una “seconda casa” ed afferma che distruggerlo significa distruggere la propria vita. Critica l'ineguaglianza alimentare in Brasile, che  – pur essendo uno dei maggiori produttori a livello mondiale – non assicura un'alimentazione salutare a tutti.

“[Gli alimenti] arrivano con un prezzo esorbitante e sono agrotossici. Nonostante cerchiamo di produrre alimenti sani, sappiamo che, oggi, tutti gli alimenti industriali hanno una forte agro tossicità. Hanno un forte impatto sulla vita degli indigeni e dei brasiliani in genere”.

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