La trasformazione dell'eroe popolare nel dramma egiziano: dalla resistenza alla violenza

Screenshot preso dal trailer della serie “Sayyid al-Nas” serie drammatica del 2025, che mostra l'attore Amro Saad. Caricata su youtube dall'utente Shahid. Uso legittimo.

Questo post  fu originariamente pubblicato dal novellista e giornalista Ahmad El Fakharanhy in Arabo, articolo che potete trovare qui Raseef 22 [ar] il 12 marzo 2025, questa versione rivisitata è stata tradotta verso l'inglese e pubblicata su Global Voices grazie a un accordo di condivisione

Durante il Ramadan del 2025, La televisione Egiziana ha continuato ha fare affidamento al solito cliché dell'eroe popolare che impone giustizia attraverso la forza bruta, a scapito della legge. Serie come Fahd al-Batal, Sayyid al-Nas e Hakim Basha rinforza una visione abbastanza singolare della mascolinità che trova radici nella violenza. Queste narrative non emergono dal nulla, ma riflettono dei cambianti sociali molto più profondi in cui la violenza diventa un mezzo di potere e giustizia legittimato.

L'incremento della violenza come strumento narrativo

Studi [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione] dimostrano che il genere dramma Egiziano ha drasticamente normalizzato la violenza, rimodellando la percezione pubblica della legge, della giustizia e l'ordine sociale: il 63.3% degli spettatori pensa che il crimine è in crescita, mentre il rimanente 67% pensa che la società opera quasi in una giungla senza leggi dove gli individui devono prendere in mano la situazione e farsi giustizia da soli. Non si tratta di un cambiamento nelle preferenze del pubblico, ma in realtà riflette una crisi molto più profonda in cui le istituzioni non riescono a mediare alle controversie, lasciando che la violenza sia la modalitá primaria di sopravvivenza.

Questo cambiamento necessita un approccio critico nel valutare i contesti socio-politici che hanno prodotto queste narrative. La domanda è: questa trasformazione di questo eroismo popolare riflette effetivamente dei cambi della società? o è una rappresentazione architettata che rafforza la violenza come verità inevitabile?Ridurre la discussione a una mera domanda del pubblico, fa si che si trascuri il modo in cui la produzione artistica modella, anziché semplicemente rispecchiare, la coscienza pubblica.

Da paladino della morale a vittima

Storicamente parlando, nel folklore Egiziano l'eroe era presentato come una figura di resistenza contro la tirannia. Personaggi come Adham al-SharqawiAli al-Zaybaq non erano semplicemente dei campioni fuorilegge che si battevano contro dei sovrani corrotti nel nome della giustizia.

Adham al-Sharqawi, per l'appunto non era visto come un criminale ma come un ribelle che resisteva contro l'oppressione. L'uso della sua forza non era fine a se stesso ma era l'ultima risorsa per proteggere i deboli. Nello stesso momento, Ali al-Zaybaq incarnava “L'eroe imbroglione”, di fatti lui usava l'intelletto e l'astuzia piuttosto che la forza bruta per sconfiggere l'autorità ingiuste. Questi personaggi offrivano dei modelli di resistenza alternativa, dove l'eroismo non era equiparato alla pura violenza, ma alla saggezza e all'azione strategica.

Al contrario, il dramma contemporaneo Egiziano ha ridisegnato la figura dell'eroe che si eleva grazie all'aggressività cruda. La violenza non era più una risposta circostanziale all'oppressione ma il tratto caratteristico del protagonista.

Cinema classico: la violenza come reazione eccezionale

Nel momento in cui il folklore Egiziano ha preso piede nei film, il ritratto dell'eroe ha subito un evoluzione. Il 1950 e il 1960 fu un era di trasformazione sociale, che vide i protagonisti della classe operaia combattere per la giustizia. Tuttavia, questi personaggi non incarnarono una violenza sconsiderata. Di fatti, le loro problematiche riflettevano tensioni di classe più ampie e ingiustizie strutturali.

Un esempio lampante è il film del 1954 “They Made Me a Criminal,” il film in questione mette in risalto come la povertà e l'oppressione sistematica possono portare un uomo di tutto rispetto verso la criminalità. La violenza in questo caso viene raffigurata come una consequenza tragica piuttosto che come un metodo di risoluzione. In egual modo, “The Tough” (1957), che vede Farid Shaqi come protagonista, presenta un uomo della classe operaia che inizialmente resiste alla corruzione ma successivamente soccombe alla stessa struttura di potere di matrice abusiva di cui lui, inizialmente si opponeva.

Queste narrative conservavano delle ambiguità morali: La violenza non era glorificata ma bensì era sintomo di un sistema corrotto. Gli spettatori simpatizzavano con queste figure, non perchè usassero il loro potere ma perchè avevano difficoltà contro forze sociali schiaccianti.

La svolta: la violenza come identità

Mentre il cinema Egiziano nei suoi stadi primordiali rappresentava la violenza come una scelta straordinaria, i successivi cambiamenti economico-politici hanno rimodellato il suo ruolo nel dramma. Dagli anni 90, le politiche neoliberali hanno smantellato le reti di sicurezza sociale, hanno consumato la classe media, e accentuato le diseguaglianze economiche. Il ritiro dello Stato dall'assistenza sociale ha costretto gli individui a una mentalità di sopravvivenza, portando alla celebrazione dell'eroe solitario che si affida esclusivamente alla forza personale.

Dal 2010, in particolare dopo la rivolta fatta nel 2011 [it], questo cambiamento divenne ancora più pronunciato. La cultura popolare ha dipinto sempre più spesso gli attori indipendenti come minacce alla stabilità, rafforzando l'idea che la sicurezza possa essere mantenuta solo attraverso la forza. Nelle serie come Al-Usṭūra (2016), il protagonista Rifa'i al-Desouki diventa capobanda, non perché è  effettivamente un criminale, ma piuttosto perché la società stessa non offre mezzi di protezione. Storie di questo genere fanno capire che la giustizia istituzionale è assente, rendendo la violenza l'unico mezzo possibile di sopravvivenza

Questa normalizzazione della brutalità non è accidentale. Di fatti serve a degli interessi economici e politici più ampi, condizionando il pubblico ad accettare la violenza come un aspetto ineluttabile della realtà, piuttosto che mettere in discussione le strutture che la rendono necessaria.

Controrivoluzione e reinvenzione della tirannia nel dramma

I risolvti della rivoluzione del 2011 portarono il dramma egiziano in una nuova fase: che è in effetti un tentativo diretto nel controllare l'immagine dell'eroe popolare. Dopo il 2013, dopo il 2013, le narrazioni hanno iniziato a inquadrare gli eroi indipendenti come pericolosi a meno che non fossero integrati nelle strutture statali. Il cambio era molto visibile in “Al-Ikhtiyar” (The Choice) (2020), una serie che ricostruì l'eroismo attraverso  figure militari e di polizia, dipingendo tutti i dissidenti come potenziali minacce.

Questa trasformazione faceva parte di uno sforzo più ampio per recuperare le narrazioni culturali e garantire che la rappresentazione eroica si allineasse all'ideologia statale. Il risultato è la cancellazione dell'eroe indipendente e moralmente guidato che si oppone all'oppressione, sostituito da una forza incontrollabile del caos o da una figura al servizio del potere statale.

L'economia politica della violenza nel dramma

La crescente attenzione per gli eroi violenti è guidata anche da interessi commerciali. Secondo il report di Carnegie del 2024, le case di produzione egiziane privilegiano il dramma ad alta audience rispetto alla narrazione ricca di sfumature. Gli spettacoli incentrati sull'azione, la vendetta e l'aggressività garantiscono un pubblico più vasto, massimizzando gli introiti pubblicitari.

La violenza, dunque, non è solamente una scelta tematica ma una strategia economica. Con il capitale privato che domina l'industria, il valore dell'intrattenimento sostituisce l'integrità artistica, mettendo da parte le complesse narrazioni sociali a favore di contenuti formulaici che prosperano sulla spettacolarità.

Questa commercializzazione influenza la percezione dell'audience. Uno studio del 2022, condotto da Hussein Khalifa,  ha scoperto che i drammi egiziani contemporanei modellano in modo significativo l'atteggiamento del pubblico nei confronti del crimine e delle forze dell'ordine. Circa il 67% degli spettatori intervistati ritiene che sia necessario farsi giustizia da soli, a testimonianza di come il consumo dei media rafforzi i comportamenti del mondo reale.

Il futuro dell'eroe popolare

La rappresentazione dell'eroe popolare nel dramma egiziano ha subito un cambiamento drammatico, passando da una figura di lotta collettiva a un individuo isolato guidato dalla sopravvivenza personale. Questa evoluzione riflette trasformazioni sociali più ampie, ma serve anche agende politiche e commerciali.

Invece di offrire narrazioni diverse che mettono in discussione le radici della violenza, il dramma contemporaneo presenta sempre più spesso l'aggressione come l'unica strada percorribile per il successo. Il problema non è la presenza di personaggi forti e d'azione, ma la riduzione dell'eroismo alla forza bruta, eliminando modelli alternativi di resilienza e giustizia.

Per reimmaginare l'eroe popolare è necessario andare oltre le formule stataliste e commerciali per esplorare caratterizzazioni più profonde e complesse che riflettano la ricchezza delle realtà sociali egiziane. Altrimenti, la fiction egiziana rischia di perpetuare una cultura in cui la violenza non è solo intrattenimento, ma una profezia che si autoavvera.

Come disse lo scrittore-ricercatore Abdul al-Barmawi, nel suo post:

This persistent portrayal of violence by producers plays a dangerous role in erasing awareness of a more complex and deeply human popular world. It marginalizes the artistic expressions that truly represent the struggles of the poor and working-class communities, reinforcing a single narrative where brute force and perpetual revenge dominate all relationships.

Questa persistente rappresentazione della violenza da parte dei produttori gioca un ruolo pericoloso nel cancellare la consapevolezza di un mondo popolare più complesso e profondamente umano. Emargina le espressioni artistiche che rappresentano veramente le lotte delle comunità povere e della classe operaia, rafforzando un'unica narrazione in cui la forza bruta e la vendetta perpetua dominano tutte le relazioni.

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