Il paradosso dei diritti delle donne in Perù

 An Indigenous woman displays handmade carpets at roadside; near Cuzco, Peru. Photo by Urbain J. Kinet on Wikimedia Commons. Public Domain

Una donna espone tappeti fatti a mano sul ciglio di una strada vicino a Cuzco, in Perù. Foto di Urbain J. Kinet su Wikimedia Commons. Disponibile al pubblico.

Di Grecia Flores Hinostroza

In Perù, i diritti delle donne vivono uno strano paradosso: sulla carta abbiamo leggi, rappresentanza e impegni internazionali che promettono uguaglianza; nella realtà, però, le nostre vite raccontano una storia diversa. Il progresso politico convive con una persistente negligenza, con numeri che lusingano e cifre che deludono. Questa contraddizione non è nascosta nell'ombra: il doloroso contrasto è scritto chiaramente nei numeri che mostriamo con tanto orgoglio.

Secondo l’Indice di Genere SDG [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], il Perù ha raggiunto un punteggio del 72,9% nella categoria della “Percentuale di seggi occupati da donne nei parlamenti nazionali”, un dato che suggerisce progresso, visibilità e leadership. Tuttavia, se spostiamo l'attenzione sulla salute, il punteggio scende drasticamente al 35,5%, appena la metà. Le donne sono presenti in Parlamento, ma assenti dal sistema sanitario che dovrebbe proteggerle.

Se bastasse la sola partecipazione politica, le nostre strade sarebbero più sicure, i nostri ospedali accessibili e le nostre voci sarebbero ascoltate anche al di fuori delle urne elettorali. Ma in Perù, come in gran parte dell'America Latina, la rappresentanza non ha spezzato le catene della disuguaglianza, ma le ha semplicemente rese meno visibili a chi governa.

Grafico dell'autrice, uso consentito.

I dati raccontano una storia. Le vite delle donne contadine, indigene e povere ne raccontano un'altra: quella in cui l'accesso ai servizi sanitari di base per la salute sessuale e riproduttiva è una realtà lontana. Una realtà in cui ospedali, esperti e cure sono irraggiungibili. La politologa Stéphanie Rousseau [es] in “The Politics of Reproductive Health in Peru” osserva: “Sebbene le riforme del settore sanitario abbiano avuto un impatto positivo sulla salute riproduttiva delle donne, le numerose restrizioni imposte al diritto delle donne sulle scelte riproduttive hanno bloccato ulteriori progressi”.

Le conseguenze non sono astratte. Nel 2020, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il tasso di mortalità materna in Perù era pari a 69 decessi ogni 100.000 nati vivi, ben al di sopra della media latinoamericana di 45 e quasi cinque volte superiore a quella del Cile (16) e dell'Uruguay (13). Questi numeri rappresentano donne la cui vita avrebbe potuto essere salvata grazie a cure tempestive, parti sicuri e al rispetto dei diritti già riconosciuti dalla legge.

Grafico dell'autrice, uso consentito,

Ma queste ingiustizie non sono solo fallimenti morali, sono anche tradimenti legali. Il Perù ha firmato una serie di accordi internazionali: la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione della donna (CEDAW), il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), e altri. Non si tratta di trattati lontani che accumulano polvere negli archivi diplomatici. Sono impegni vincolanti, scritti per salvaguardare la dignità, la salute e la sicurezza delle donne: impegni che devono raggiungere ogni reparto ospedaliero, ogni aula di tribunale e ogni villaggio remoto del nostro Paese.

Le leggi che tutelano i diritti alla salute sessuale e riproduttiva esistono sulla carta, ma rimangono lontane dalla realtà delle donne contadine, indigene o povere. Le cliniche mancano dei servizi essenziali. L'assistenza riproduttiva completa non è disponibile. I quadri normativi dichiarano l'uguaglianza, ma l'uguaglianza scompare nei luoghi in cui le donne continuano a subire gravidanze forzate, parti non sicuri e negligenza sistemica.

La Costituzione parla di uguaglianza, ma l'uguaglianza non percorre le strade delle donne che portano avanti da sole la loro gravidanza. Il Ministero della Salute emana protocolli, ma tali protocolli non salvano vite umane quando il centro sanitario più vicino è chiuso o quando l'unico medico è assente. I diritti se non sono accessibili sono vuoti. Gli impegni se non vengono attuati costituiscono un tradimento.

In questo contesto, la rappresentanza politica non deve essere scambiata per liberazione. Non possiamo accettare l'illusione di un progresso derivante da un maggior numero di donne in carica se questo non è accompagnato da azioni concrete volte ad abbattere le barriere strutturali. L'emancipazione non è uno slogan vuoto: è la realtà vissuta senza paura, l'accesso all'assistenza sanitaria senza barriere e la possibilità di far sentire la propria voce senza alcuna ritorsione.

Il divario tra legge e vita non è un difetto astratto della politica, ma una crisi quotidiana. È la ragazza di una provincia rurale che, dopo aver subito una violenza sessuale, è costretta a partorire perché l'aborto è inaccessibile. È la madre che muore mentre viene trasportata in un ospedale che non è mai in grado di curarla. Ed è anche la comunità indigena, dove i diritti riproduttivi esistono solo nella lingua di tribunali lontani, ma non nella pratica dei sistemi sanitari locali.

Se misuriamo il successo solo in base alla presenza delle donne al potere, ignoriamo l'assenza di giustizia nelle loro comunità. I numeri in parlamento non possono compensare i reparti maternità vuoti. Il riconoscimento internazionale non può sostituire il diritto a un parto sicuro.

Chiedo al Congresso peruviano di legiferare non per le apparenze, ma per l'autonomia. Per garantire che la salute, la sicurezza e la dignità siano realtà in ogni provincia. Chiedo ai donatori internazionali di finanziare anche la lotta per la libertà riproduttiva, non solo la partecipazione politica. E chiedo alla società peruviana di riconoscere che la rappresentanza senza diritti non è affatto una vittoria.

La rappresentanza è importante. Ma è solo l'inizio. La vera emancipazione si avrà quando ogni donna potrà controllare il proprio futuro — il proprio corpo, la propria salute, la propria voce — indipendentemente dal luogo in cui è nata o dalla distanza che la separa dalla capitale. Fino ad allora, il paradosso rimarrà e il progresso sarà una promessa mantenuta solo a metà.

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