In che modo globalizzazione, identità e cultura convergono nell'arte

Gli scatti del fotografo d'arte iraniano Mehrdad Naragahi sono l'incarnazione visiva del realismo magico di Gabriel García Márquez. “Possiamo essere ovunque nei nostri sogni”. Foto senza titolo della serie “The Fairyland” (il paese delle fate). Fornita da Naraghi sul proprio sito. Riprodotta con permesso.

In che modo un artista affronta le questioni riguardanti l'identità e la casa, quando vive lontano dal suo paese d'origine? In che modo l'arte può riunire culture e prospettive differenti, in un momento in cui il mondo sta diventando sempre più polarizzato?

Queste sono domande su cui riflette Omid Memarian [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione], un giornalista con la passione per l'arte, durante i suoi incontri con famosi artisti internazionali che affondano le loro radici in Iran, Cina e oltre.

Quello che ha scoperto è che l'arte può essere un potente mezzo per costruire ponti, come evidenzia la serie di articoli citati di seguito.

Da Teheran a Manhattan, un servizio di moda alla volta

Omid ha iniziato questa esplorazione nel novembre 2016, quando ha incontrato il fotografo di moda iraniano Kourosh Sotooudeh a New York per discutere delle sue incursioni nel mondo della moda da quando ha lasciato l'Iran nel 2009.

Kouroush fotografa la modella Eszter Boldov. Foto condivisa da Kouroush Sotoodeh. Riprodotta con permesso.

“I soggetti nella mia fotografia sono le persone, quindi per me è naturale voler andare in un posto dove le persone hanno più libertà riguardo ai loro vestiti, la condotta e i comportamenti sociali”, ha detto Kourosh a Omid nella suddetta intervista, durante un servizio fotografico in uno studio di Manhattan.

Kourosh ha lasciato l'Iran per perseguire la propria carriera. Se fosse rimasto e avesse pubblicato foto come quelle che stava scattando il giorno in cui Omid lo ha intervistato – di modelle solo parzialmente vestite – avrebbe rischiato il carcere o peggio.

La designer iraniano-americana di New York che utilizza la moda per creare un impatto sociale

Azin Valy. Foto condivisa da Azin. Riprodotta con permesso.

Azin Valy, architetto iraniano-americana divenuta designer, nel 2012 ha lanciato Cityzen by Azin, un marchio di moda e accessori di lusso. Nel dicembre 2016, ha spiegato la filosofia e gli obiettivi del suo progetto.

Il suo marchio è ispirato a quelle città che cercano di focalizzare l'attenzione su caratteristiche condivise, rispettando al contempo le differenze, creando “una consapevolezza del luogo e utilizzando la moda come strumento per inviare messaggi che creino un impatto sociale”:

The superimposition of the cities onto the shape of the body and playing around with the scale of each allowed numerous interpretations of each design which literally opened up a whole world to me.

La sovrapposizione delle città alla forma del corpo e il giocare con le proporzioni di entrambe, hanno permesso numerose interpretazioni di ogni design, che mi ha letteralmente aperto un mondo intero.

Il fotografo iraniano Mehrdad Naraghi: “Nessun mezzo può mai essere ‘finito'”

Una fotografia di Naraghi della collezione “The Fairyland” (Il paese delle fate). Riprodotta con permesso.

Con il suoi riferimenti geografici offuscati e le sue immagini oniriche, la fotografia di Mehrdad Naragahi è l'incarnazione visiva del realismo magico di Gabriel García Márquez.

“Possiamo essere ovunque nei nostri sogni”, ha detto a Omid:

Just as people outside Iran cannot tell my nationality only from my appearance, this is also true about my art. We live at a time when our differences are no longer as visible on the surface, but found in deeper layers, layers that are formed from history, collective memory and the political conditions of our individual geographies.

Proprio come le persone al di fuori dell'Iran non riescono a riconoscere la mia nazionalità basandosi solo sul mio aspetto, questo è vero anche per la mia arte. Viviamo in un momento in cui le nostre differenze non sono più così visibili in superficie, ma si trovano in strati più profondi, strati formati dalla storia, dalla memoria collettiva e dalle condizioni politiche delle nostre geografie individuali.

Tessere oggetti di perdita e di memoria con Hayv Kahraman

L'artista irachena Hayv Kahraman. Immagine rilasciata da Kahraman.

Quando aveva 11 anni, la famiglia di Hayv Kahraman fuggì dalla guerra del Golfo in Iraq con una sola valigia. Tra gli oggetti essenziali, sua madre portò con sé un mahaffa, il ventaglio iracheno ottenuto tramite la tessitura di fronde di palma. Ha viaggiato con Kahraman nel tragitto dal Medio Oriente verso l'Europa e oggi decora la sua casa di famiglia in Svezia. “Il mahaffa è per me un oggetto nomade perché è qualcosa che mi riporta al passato”, Kahraman ha detto a Omid nel dicembre 2017 [it], quando hanno parlato durante la sua mostra “Re-weaving Migrant Inscriptions” (tessere di nuovo iscrizioni migranti) alla Jackson Shainman Gallery di Manhattan. “Una vita diversa che non esiste più.”

Il lavoro di Kahraman è un'esplorazione magistrale delle questioni riguardanti l'identità, la lotta personale e la coscienza umana. “Tessere di nuovo le iscrizioni dei migranti” abbraccia nuovi metodi per incorporare nelle sue opere oggetti che portano con sé generazioni di storia. L'ultima mostra di Kahraman rivela anche l'evoluzione del suo modo di esprimere le immagini e i ricordi che assillano i rifugiati che vivono in Occidente.

La calligrafia iraniana incontra i fumetti e la cultura pop occidentale nell'arte di Jason Noushin

Jason Noushin lavora nel suo studio nel Connecticut. Foto fornita da Jason Noushin. Riprodotta con permesso.

Jason Noushin, artista iraniano-britannico, esplora l'interazione dinamica tra le due culture che sostengono la sua identità. Noushin lasciò l'Iran quando aveva 13 anni ma la cultura persiana continua a permeare la sua vita, e nelle sue opere la sua identità persiana, viene spinta in un rilievo netto e bellissimo tramite l'immersione nella cultura occidentale.

Noushin ha detto a Omid nel gennaio 2018:

Art is not made in a void; it all comes from somewhere. I suppose my favorite memories (maybe somewhat exaggerated) are from my childhood in Tehran before the revolution. I enjoyed reading comic books and playing street soccer as boys do in Tehran. So, yes, these comic book collages are reminders of a time and place that no longer exists.

L'arte non è fatta nel vuoto; tutto viene da qualche parte. Credo che i miei ricordi preferiti (forse un po ‘esagerati) provengano dalla mia infanzia a Teheran prima della rivoluzione. Mi è piaciuto leggere fumetti e giocare a calcio nelle strade della capitale, come fanno i ragazzi a Tehran. Quindi, sì, questi collage di fumetti sono ricordi di un tempo e un luogo che non esiste più.

Confronto e dissesto in una nuova mostra dell'artista sino-americano Xiaoze Xie

Xiaoze Xie, professore di arte e storia dell'arte. Crediti: Stanford University. Riprodotta con permesso.

Nella sua ultima mostra “Confrontation and Disruption” (Confronto e dissesto), l'artista sino-americano Xiaoze Xie affronta i problemi globali come gli scontri in strada con la polizia, i rifugiati, la violenza e la guerra e le questioni di resistenza ed empatia.

Li affronta dipingendo giornali e libri, come ha spiegato a Omid nell'aprile 2018:

I’ve always been interested in time and memory and how memory and history or human thought are contained in material form. So books and newspapers are the material forms of things that are invisible and abstract. It came across very early, in the early 90s, when I first came to the United States. When I spent a lot of time in libraries, wandering between aisles and bookshelves, I would see these rows of books in front of me—you know, these silent and sleeping books. So what do they contain? From the spines, sometimes you don’t know, they are almost like tombstones.

Sono sempre stato interessato al tempo e alla memoria e al modo in cui la memoria, la storia o il pensiero umano sono contenuti in una forma materiale. Così libri e giornali sono le forme materiali di cose che sono invisibili e astratte. Questo concetto è emerso molto presto, nei primi anni '90, quando sono arrivato per la prima volta negli Stati Uniti. Passavo molto tempo nelle biblioteche, vagando tra corridoi e scaffali, vedevo queste file di libri davanti a me — sai, questi libri silenziosi e addormentati. Qual è il loro contenuto? Guardando solo il dorso a volte non sai, sono quasi come lapidi.

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