In Africa, governi e attori politici non governativi mettono continuamente in atto strategie per interferire sulla libertà di espressione e l’accesso alle informazioni online degli utenti, specie durante gli eventi più significativi politicamente.
Sempre più governi Africani interrompono [en, come i link successivi, salvo diversa indicazione] l’accesso a internet, reti mobili e social media come parte di una strategia volta a domare il dissenso e a mantenere il potere, in particolare durante proteste, elezioni e momenti di scontro politico. Inoltre, governi e altri attori politici attuano strategie per disinformare il pubblico durante tali eventi.
La disinformazione online e l’impatto del blocco della rete sul diritto dei cittadini alla libertà d'espressione in Africa
Il 9 luglio 2019, la Collaborazione sulla normativa ICT internazionale per l’Africa orientale e meridionale (CIPESA) ha annunciato che il Fondo africano dei diritti digitali (ADRF) è stato assegnato a 10 iniziative, inclusa Global Voices, per promuovere i diritti digitali in Africa.
Questo progetto è finanziato dal Fondo africano per diritti digitali, parte della Collaborazione sulla normativa ICT internazionale per l’Africa orientale e meridionale (CIPESA). Global Voices è parte del gruppo inaugurale di vincitori del Fondo africano per i diritti digitali.
Da metà ottobre a fine novembre il team subsahariano e nordafricano di Global Voices, come parte del suo programma su Advox, racconteranno una serie di 14 storie analitiche che esaminano le interferenze con i diritti digitali durante eventi politici chiave, come elezioni e proteste, tramite strategie che includono:
- Disinformazione online
- Blocco dei servizi internet
- Limitazione dell’accesso alle informazioni durante elezioni e proteste
Queste 14 storie coprono sette paesi africani: Algeria, Etiopia, Mozambico, Nigeria, Tunisia, Uganda e Zimbabwe.
Zimbabwe
Gli eventi che hanno seguito lo spodestamento, il 17 novembre 2017, del defunto Robert Mugabe hanno dimostrato come i social media fossero radicati come mezzo di informazione alternativo in Zimbabwe. Il colpo di stato militare che ha rimosso Mugabe era stato preceduto da proteste organizzate in gran parte sui social media.
Questo trend ha continuato durante il nuovo governo di Emmerson Dambudzo Mnangagwa, che ha approfittato del potere dei social media durante le elezioni del 2018 per “picchiare duro sull'avversario”, come riportato qui:
As a former state security minister, Mnangagwa also appreciated the importance and value of disinformation in Zimbabwe’s political terrain. In a calculated move to consolidate newfound political power and ensure an electoral victory during the presidential and legislative elections scheduled for next year, Mnangagwa instructed his ruling ZANU PF (Zimbabwe African National Union-Patriotic Front) party youth league to “enter the social media and online firmament and batter the opponent,” back in March 2018.
Come ex ministro della sicurezza di stato, Mnangagwa ha anche apprezzato l’importanza e il valore della disinformazione sul terreno politico dello Zimbabwe. In una mossa calcolata per consolidare il potere politico appena fondato e assicurarsi una vittoria elettorale durante le elezioni presidenziali e legislative fissate per l’anno prossimo, Mnangawa ha ordinato alla lega giovanile del suo partito ZANU PF (Unione nazionale africana dello Zimbabwe – Fronte patriottico) a “entrare nei social media e nel mondo online per picchiare duro sull’avversario”, nel marzo del 2018.
Tuttavia, questo ha solo aumentato la disinformazione in Zimbabwe, a causa dell’estrema polarizzazione nei media, dell’imminente censura governativa sui social media, dei canali di comunicazione inadeguati dell’amministrazione e della scarsa alfabetizzazione digitale.
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Inoltre, lo Zimbabwe ha un esercito online, comunemente conosciuto come “varakashi”, che difende il presidente Emmerson Mnangagwa su ogni argomento possibile. Varakashi (“distruttori” in lingua shona) sono troll dei social media, attivi soprattutto su Twitter, e criticano chiunque osi sfidare le politiche o la leadership del presidente.
Questi troll online sponsorizzati dallo stato hanno un’ulteriore funzione, etichettando chiunque critichi il governo come “agenti dei poteri esteri, quindi non patriottici.” Affermiamo inoltre che queste “campagne punitive online finanziate dallo stato” hanno preso di mira leader della società civile, attivisti di opposizione, media indipendenti e persino ambasciate straniere.
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Etiopia
Non va tutto bene nella coalizione di governo, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (EPRDF), che include quattro partiti etnici: il partito democratico amhara (ADP), il partito democratico oromo (ODP), il movimento democratico del popolo sud etiope (SEPDM) e il Fronte di liberazione del popolo tigrino.
I membri del EPRDF sono ricorsi a facebook per attaccarsi a vicenda. Endalk, collaboratore etiope di Global Voices, scrive:
A deep split that exists within Ethiopia's ruling coalition — the Ethiopian People's Revolutionary Democratic Front (the EPRDF) —was made evident over the last few weeks when a Facebook row broke out between the two major political party members who disagreed on the historical accounts of Ethiopia as a modern state. The row revealed how party members within the EPRDF use social media — through posts and memes — to manipulate public opinion and spread misinformation and incendiary content.
La spaccatura che esiste nella coalizione etiope al governo — il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (EPRDF) — è diventata evidente nelle ultime settimane, quando è scoppiata una discussione su Facebook tra i due principali membri del partito politico che non erano d'accordo sui riconoscimenti storici dell'Etiopia come stato moderno. La spaccatura ha rivelato come i membri dei partiti all'interno dell’EPRDF usino i social, tramite post e meme, per manipolare l’opinione pubblica e diffondere disinformazione e contenuti provocatori.
Per 25 anni, TPLF ha dominato la coalizione di partito etiope fino al 2018, quando sono stati rimossi dall’azione congiunta di ADP e ODP. Il primo ministro Abiy Ahmed è dell’ODP. Tuttavia, la rivalità politica si è intensificata tra i vari membri e la guerra interna, un tempo silenziosa, è passata su Facebook.
La spaccatura su Facebook tra alcuni membri di EPRDF ha rinforzato la loro popolarità e la guerra sui social ha visto un’impennata di “polarizzazione politica carica di disinformazione.”
Il 10 novembre 2019, è scoppiato uno scontro tra studenti oromo e amhara all’università di Woldia. I social hanno diffuso voci di attacchi imminenti da parte di entrambi i gruppi. Successivamente questo ha portato a un panico nazionale tra le altre università.
Endalk, collaboratore di Global Voices Etiopia, afferma che il panico nelle università “sottolinea le profonde tensioni etniche” del paese “dove le tensioni etniche sono solitamente dipinte come un semplice conflitto tra amhara e oromo.” Tuttavia è anche “sintomo di una lotta di potere complessa e mortale all'interno dell’EPRDF.” Il partito di governo, l’EPRDF, coalizione di quattro partiti etnici, è stato “invischiato in una lotta di potere mortale e incessante, soprattutto tra i filoni etnici dei suoi quattro membri.” I social media sono un terreno di battaglia per questa lotta etnica.
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Tunisia
Il 13 ottobre, i tunisini hanno eletto Kais Saied, professore di diritto costituzionale in pensione e candidato indipendente, come loro presidente. Una settimana prima avevano eletto un nuovo parlamento. Si tratta della quarta tornata elettorale dalla rivoluzione del 2011 che ha rovesciato i 23 anni di governo del presidente autocratico Zine el Abidine Ben Ali.Yosr Jouini racconta che questa stagione elettorale è stata oscurata [it] dalla disinformazione che [it] “si diffonde ampiamente sui social media” ma soprattutto su Facebook:
Observers of the political scene in Tunisia have noted the rise of political party- and candidate-affiliated Facebook groups and pages with substantial numbers of followers. Pages without declared ties or affiliations were also actively involved in spreading political disinformation and sponsored content praising certain parties.
Gli osservatori della scena politica in Tunisia hanno notato un aumento di gruppi e pagine facebook, affiliati a partiti politici e candidati, con un numero sostanziale di follower. Anche pagine senza legami o affiliazioni dichiarate sono coinvolte attivamente nella diffusione di disinformazione politica e hanno promosso contenuti che elogiano alcuni partiti politici.
La disinformazione si è diffusa durante le elezioni, compresa la notizia del ritiro dalla corsa elettorale di alcuni contendenti alla presidenza o il falso sostegno di alcune celebrità a vari candidati politici.
Anche la stessa credibilità delle elezioni è stata una vittima delle campagne disinformazione, portando l’autorità elettorale del paese a mettere continuamente in guardia dalle voci “il cui scopo era distruggere il processo elettorale.”
Questa atmosfera di disinformazione ha impedito di riconoscere l’affidabilità della diffusione di informazioni sui social, Facebook in particolare, durante le elezioni, alimentando la diffusione di alcune dicerie.
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Gruppi di società civile, piattaforme tecnologiche, istituti nazionali e professionisti dei media hanno adottato delle misure per contrastare la diffusione della disinformazione. Tuttavia, vista la scarsa trasparenza delle piattaforme tecnologiche e visto il vuoto legislativo sul regolamento della pubblicità elettorale sui social, tali misure si sono mostrate insufficienti.
Per esempio, la libreria inserzioni di Facebook ha “fallito nel fornire alcuna misura di trasparenza e ha funzionato solo su alcune pagine.” Ha detto a Jouini Dima Samaro, policy associate dell'area mediorientale e il nordafricana per Access Now.
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Mozambico
Il 15 ottobre, i mozambicani sono andati alle urne per eleggere presidente, parlamento e governo provinciale. I risultati parziali indicano che il presidente Filip Nyusi, che ha governato il Mozambico dal 1992, sarà rieletto, durante la sesta elezione generale tenuta dall’approvazione della costituzione multipartitica, 27 anni fa.
Dércio Tsandzana, editor lusofono di Global Voices, riporta che queste elezioni sono state cariche di intimidazioni a giornalisti e attivisti dei diritti umani attraverso minacce disseminate via SMS:
One day before the elections, community radio association FORCOM said on Twitter that one of its journalists, Naldo Chivite, received a threatening SMS. ‘’Chivite, you must have attention about what you will say on Tuesday [election day]. You have talked too much about the Nampula [a province in northeastern Mozambique] elections and we've accepted it. Be careful,’’ the message read, according to FORCOM. … Global Voices spoke with Chivite, who said he suspected the threat was sent by members of a political party, without specifying which one. He added that he received similar threats during the 2014 elections.
Il giorno prima delle elezioni, l’associazione della radio popolare FORCOM ha dichiarato su Twitter che uno dei suoi giornalisti, Naldo Chivite, ha ricevuto un SMS di minaccia. “Chivite, devi fare attenzione a quello che dirai martedì [giorno di elezioni]. Hai parlato troppo delle elezioni di Nampula [provincia a nord ovest del Mozambico] e l’abbiamo accettato. Stai attento” recitava il messaggio secondo la FORCOM… Global Voices ha parlato con Chivite, che ha affermato di sospettare che la minaccia sia stata mandata dai membri di un partito politico, senza specificare quale. Ha aggiunto che ha ricevuto minacce simili durante le elezioni del 2014.
Quello di Chivite non è un caso isolato, altri giornalisti e attivisti, come Tomé Balança e Fátima Mimbire, sono stati minacciati e/o sottoposti a intimidazioni.
Al di là del mezzo, se online, via SMS o chiamate telefoniche, queste minacce sono una violazione del diritto dei mozambicani all’informazione e di libertà di espressione. Inoltre accresce il clima di paura, perché giornalisti e attivisti non possono più procurare al pubblico informazioni credibili senza la paura di una ripercussione fisica.
Nigeria
Il 23 febbraio 2019, i nigeriani hanno eletto il presidente in carica Muhammadu Buhari con 15 milioni di voti. Buhari, che ha trionfato sul suo rivale più vicino, Atiku Abubakar, ha giurato per un secondo termine di quattro anni il 29 maggio 2019. Tuttavia, la campagna di elezioni ha visto la vasta diffusione di affermazioni d'odio etnico al servizio della disinformazione e della propaganda online, soprattutto su Twitter.
Una osservazione partecipante condotta tra il 28 ottobre 2018 e il 29 maggio 2019 da Nwachukwu Egbunike, community manager di Global Voices per l'Africa subsahariana ha rivelato che l'odio etnico era usato su Twitter come strumento di disinformazione e propaganda da entrambi i fronti del divario politico durante le elezioni presidenziali del 2019:
Parlando di disinformazione su base etnica, alcuni sostenitori del partito APC [il Congresso di tutti i progressisti] hanno accusato Obi [vice di Abubakar, il candidato alla presidenza del Partito democratico popolare (PDP), all'opposizione] di essere un bigotto che avrebbe presumibilmente deportato le popolazioni del nord ai tempi in cui governava lo stato di Anambra, a sudest della Nigeria. Alcuni tweet, che raccontavano di persone yoruba che davano alle fiamme i negozi di commecianti igbo a Lagos, sono diventati virali. Entrambe le storie erano false.
Entrambi i maggiori partiti politici hanno assunto un esercito di guerrieri della rete per “neutralizzare” notizie “sfavorevoli” sui social media o sferrare attacchi durante le campagne elettorali. Come risultato, Twitter è diventato un campo di battaglia per la disinformazione etnocentrica e la propaganda politica prima, durante e subito dopo, le elezioni nigeriane del 2019.
Leggi anche:
Social media propelled ethnocentric disinformation and propaganda during the Nigerian elections
Twitter was a minefield of false information during the 2019 Nigerian elections
Uganda
Gli ugandesi voteranno per eleggere il loro presidente nel 2021. Internet è un campo di batttaglia, con il governo del presidente Yoweri Museveni che censura il dissenso politico,.
Durante le scorse elezioni del 2016 il governo ha chiuso i social media. Sandra Aceng, collaboratrice di Global Voices Uganda, scrive:
As the 2021 election approaches, Uganda authorities are very likely to continue to crack down on political dissent, including through social media shutdowns. In fact, since the 2016 elections, there has been no change in the legal framework that allows the government to restrict the rights to freedom of expression and access to information online.
Con l'avvicinarsi delle elezioni 2021, le autorità ugandesi probabilmente continueranno con la repressione sempre più aspra del dissenso politico, compresa la chiusura dei social. Infatti, dalle elezioni 2016, non ci sono stati cambiamenti nella struttura giuridica che permette al governo di limitare la libertà di espressione o l'accesso all'informazione online.
L'opposizione a Museveni, che ha governato l'Uganda dal 1986, è sempre più forte. Con l'arrivo delle elezioni 2021, molto probabilmente le autorità governative continueranno a reprimere il dissenso politico, compreso il blocco dei social media.
Leggi anche: Will Uganda shut down the internet as opposition heats up for 2021 elections?
Uganda has also been imposing taxes on users to access social media and mobile money services since July 2018. The finance ministry said the aim of the tax was to raise revenue, but President Yoweri Museveni also called for the tax to regulate “gossip.’ Activists, however, slammed it as an attempt to restrict free speech and crack down on dissent.
With one-third of Ugandans living below the poverty line, surviving on $1.90 USD per day, the new tax .05 cents drove thousands offline and off social media to meet other basic needs.
Some Ugandans are still able to access OTT services including social media platforms and messaging apps, without paying the tax, through the use of VPNs. Others are still willing to pay the price to get online, even if it hurts their wallets. However, Uganda is facing a social media dilemma, writes Aceng:
…based on mass protests decrying the social media tax over the last year, and the government’s record of shutting down dissent and opposition, Uganda faces a social media dilemma.
As the opposition heats up and more people find their way around the obstacles posed by the tax, social media will play a critical role in Uganda’s fight for free expression.
Leggi anche: Taxing dissent: Uganda's social media dilemma
Algeria
Dal 22 febbraio, gli algerini sono stati testimoni delle proteste di piazza dei cittadini che hanno denunciato la corruzione, la disoccupazione e l'élite politica del paese.
Il collaboratore di Global Voices algerino Farah Souames ha riportato che:
The country’s lack of a robust media landscape has driven protesters and activists to break through the wall of fear and use social media platforms to broadcast live reports on what’s happening in the streets. Amateur footage of the protests is being widely circulated on Twitter, Facebook and Instagram, as well as broadcast by foreign media outlets.
La mancanza di un solido panorama mediatico nel paese ha spinto manifestanti e attivisti a sfondare il muro della paura e a usare le piattaforme dei social media per trasmettere in diretta quello che succede nelle strade. I filmati amatoriali delle proteste sono stati ampiamente diffusi su Twitter, Facebook e Instagram, e trasmessi dai media stranieri.
I media tradizionali mainstream sono considerati “portavoce del governo”, spingendo i manifestanti ad affidarsi alle piattaforme dei social media per diffondere la notizia di quanto sta accadendo sul campo. Tuttavia, il governo ha reagito interrompendo l'accesso alle reti e alle piattaforme dei social media.
Il movimento di protesta ha portato anche un'ondata aggressiva di ”notizie false” e disinformazione sulle piattaforme dei social media.
Con le elezioni presidenziali del 12 dicembre, considerate dai manifestanti come uno stratagemma per mantenere il vecchio regime al potere, i sostenitori filogovernativi si sono avvicinati ai social media per attaccare gli attivisti antigovernativi. I manifestanti sono stati presi di mira e sottoposti a teorie cospirazioniste, come l'accusa di lavorare per governi stranieri, servizi segreti, o pagati per diffondere instabilità e disordini nel Paese. Anche in Algeria si sono susseguiti gli hashtag di Twitter a sostegno del regime e la denuncia degli appelli al boicottaggio delle elezioni.