I cyber-attivisti egiziani sono impegnati per chiedere il rilascio dei manifestanti e dei passanti arrestati domenica 15 maggio nel corso delle proteste svoltesi davanti all'Ambasciata israeliana del Cairo, in occasione della commemorazione della Nakba [it] (in arabo “Giorno della catastrofe”) che nel 1948 accompagnò la creazione dello stato di Israele.
Le richieste per la libertà dei detenuti stanno circolando copiosamente su Internet, tramite blog, Facebook e Twitter. Ahram Online annuncia [en, come tutti i link tranne ove diversamente indicato] che la Procura militare ha rilasciato 17 manifestanti “a causa della loro giovane età e degli impegni scolastici”, mentre 119 rimangono in stato di fermo.
Il blogger [ar/en] e utente Twitter Tarek Shalaby è tra i fermati. Questo uno dei suoi ultimi tweet prima dell'arresto:
Merda! Ci hanno teso un'imboscata! I soldati arrivano dalla parte opposta. Siamo corsi in una strada laterale…
Su Facebook è stata creata la pagina Free Tarek Shalaby, dove si legge fra l'altro:
Tarek Shalaby è stato arrestato la notte scorsa per aver manifestato di fronte all'Ambasciata israeliana del Cairo, a Giza, è stato portato via con decine di altre persone, e stiamo tuttora cercando di capire dove si trovi! Per favore, seguite questa pagina per aiutarci a chiedere il suo rilascio dalla custodia militare in Egitto!!
Anche l'utente Twitter Mosa'ab ElShamy è stato arrestato. La pagina Facebook a lui dedicata, Free Mosa'ab ElShamy, riporta:
La scorsa notte, all'Ambiasciata d'Israele del Cairo, anche Mosa'ab (@mosaaberizing), giovane attivista che ha partecipato alla rivoluzione del 25 gennaio, è stato portato via dalle forze di sicurezza insieme a Tarek Shalabi.
La kuwaitiana Mona Kareem, tra i più legati a Mosa'ab su Twitter, propone un toccante tributo all'amico arrestato, richiedendone il rilascio. Il post è intitolato “Restituitemi il mio amico”:
Mi fa così male pensare che questo mio amico di vent'anni è stato arrestato e potrebbe essere processato dal Tribunale militare. Alcuni ci sono già passati, è disumano. Ci sono persone che sono state condannate ad anni di prigione per aver espresso la propria opinione o aver partecipato a una manifestazione. L'Egitto ha avuto una rivoluzione, ma l'esercito non lo può capire; l'esercito è una macchina brava ad uccidere, arrestare e punire. L'esercito non vede gioventù, speranza, sogni e ricordi negli uomini e nelle donne che arresta. Non apprezza il coraggio che hanno dimostrato nel rinunciare a una vita normale per costruire un posto migliore per le generazioni future – le stesse che molto probabilmente considereranno il 25 gennaio qualcosa di noioso, proprio come abbiamo fatto noi con i ricordi rivoluzionari dei nostri genitori, bollati come barbosi e superficiali.
“We are all Mahmood Al Sadati” è una pagina Facebook creata per Mahmood, un altro degli arrestati nei disordini all'Ambasciata israeliana. L'amministratore della pagina scrive [ar]:
يوم الثلاثاء 17/5 خد 15 يوم إستمرار فى السجن الحربى
الحرية لمحمود الساداتى
Libertà per Mahmood Al Sadaty.
Altra pagina [ar] Facebook è quella per il diciassettenne Omar Hani Farouk Albstawisy.
Lo zio Hesham ne annota i dati personali:
Il blogger Rowan El Shimi condivide [ar] una sconvolgente testimonianza del video-giornalista Mohamed Effat, che si trovava davanti all'ambasciata insieme ai manifestanti quando sono iniziati gli arresti.
Soldati e ufficiali, da entrambi i lati, hanno ricominciato a sparare in aria in un modo che non riesco a descrivere, ma che è bastato a terrorizzarci e a farci arrendere. I soldati, dal marciapiede, si sono messi intorno a noi e ci hanno obbligato a inginocchiarci e ad alzare le mani alla testa. Alcuni ci puntavano le armi addosso, altri continuavano a esplodere colpi in aria. Poi ci hanno fatti sdraiare sulla pancia, con la testa rivolta verso il basso e le mani sulla nuca. Il tutto senza smettere di puntarci le armi alla testa e sparare in aria.
Vicino a me c'era un bambino, non avrà avuto più di otto anni, e piangeva terrorizzato, disperato. Hanno forzato anche lui, come noi, a mettersi bocconi. Dopo qualche minuto ci hanno fatto spostare su un altro marciapiede, sul quale ci siamo rimessi nella stessa posizione di prima. Chiunque alzava la testa veniva colpito sul capo e insultato. Poi è arrivato un poliziotto, e hanno iniziato a metterci in fila, uno dopo l'altro, trascinandoci. Ci hanno portato sulla Corniche, vicino all'Ambasciata. (In tutto ciò, è da notare che nello spostarci da un posto all'altro eravamo obbligati a strisciare sulle ginocchia, e che chiunque si alzava veniva picchiato e preso a calci finché non si rimetteva giù).