Mentre il Governo italiano [it, come i link successivi] annuncia il ritiro del ventilato ricorso contro i provvedimenti della magistratura che rischiano di portare alla chiusura degli impianti dell’Ilva di Taranto, un migliaio di persone sono invece scese in piazza per incoronare l’operaio Cataldo Ranieri come capo carismatico di una protesta contro l’inquinamento industriale che sembra solo agli inizi.
Questi gli ultimi sviluppi di una situazione controversa e contestata da tempo, che aveva portato a fine luglio al sequestro della principale unità di produzione della multinazionale, quella di Taranto, per ordine dell’autorità giudiziaria.
Davide Maria De Luca descrive l’impianto siderurgico, che è il più grande d’Europa, in questi termini:
Fondato nel 1961, è un impianto siderurgico a ciclo integrale, dove cioè avvengono tutti i passaggi che dal minerale di ferro portano all’acciaio. Il fulcro della produzione sono i cinque altoforni, dove viene prodotta la ghisa. Ognuno è alto più di 40 metri e ha un diametro tra 10 e i 15 metri: al momento quattro altoforni su cinque sono attivi.
I risultati di due indagini, ordinate nel corso di un processo contro i proprietari e la direzione dell’Ilva, hanno mostrato che nell’arco di sette anni oltre 11.000 sono morte e 29.000 sono state ricoverate nella zona di Taranto a causa di malattie le cui cause sono riconducibili alle emissioni inquinanti dello stabilimento. Per questo l’intera fabbrica rischia la chiusura, il che comporterebbe il licenziamento di circa 12.000 lavoratori in un’area, quella di Taranto dove la disoccupazione supera il 30%; da sola, l’Ilva è responsabile del 75% del PIL della zona, e dello 0.15% di quello nazionale.
Un lettore del quotidiano Il Fatto Quotidiano sintetizza così la scelta di fronte alla quale sono posti i lavoratori, prima ancora della magistratura e del governo:
Morire di lavoro o morire perché non c'è lavoro?
Il fisico e ingegnere Filippo Zuliani, che lavora presso il centro di ricerca e sviluppo Tata Steel Europe, scrive sul suo blog:
La vicenda dell’ILVA è complessa e dolorosa: da molti anni gli abitanti di Taranto sospettavano (eufemismo) dei problemi causati direttamente o indirettamente dallo stabilimento siderurgico, e le due perizie chimica e medico-epidemiologica disposte dal gip hanno liberato frustrazioni a lungo represse. Il sequestro dell’ILVA ripropone l’annosa dicotomia tra produzione e tutela dell’ambiente.
Riporta Ziuliani che alcuni degli operai dell’Ilva, intervistati dal TG3 su quale fosse la scelta migliore, chiudere o meno la fabbrica, hanno risposto:
Non siamo noi che dobbiamo indicare la soluzione, noi rivendichiamo il nostro diritto a lavorare in sicurezza, in un ambiente sano per noi e per le nostre famiglie.
Per altri, preoccupati delle conseguenze ambientali e sanitarie dell’attività dell’Ilva, non esiste alternativa alla chiusura degli impianti.
Su Il Fatto Quotidiano, Fabio Balocco scrive:
Se una fabbrica produce veleni deve essere chiusa, perché prima di tutto, e non lo dico io ma la Corte Costituzionale, viene l’ambiente e la salute. Prima di tutto, anche dell’economia e quindi anche del posto di lavoro.
Dall’altro lato c`è chi, pur riconoscendo la gravità della situazione ambientale, sostiene il diritto al lavoro e si schiera dalla parte degli operai che contestano la chiusura degli impianti, chiedendo che i proprietari e gli amministrazioni dell’azienda risarciscano i danni causati, investendo nella bonifica degli impianti.
Esprimendo “solidarietà con i lavoratori in lotta dell’Ilva,” La Rete delle Reti scrive:
Nessuna azienda deve essere chiusa, nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto deve essere assegnato un lavoro utile e dignitoso. […] È possibile imporre sia la difesa dei posti di lavoro che la tutela della salute e dell’ambiente! Riva deve risarcire un intero territorio dei suoi crimini a scopo di lucro e i soldi dello Stato vanno usati per avviare immediatamente la bonifica del territorio impiegando tutti i lavoratori, i precari e i disoccupati del territorio!
Intanto le proteste si sono estese anche online, a partire da vari gruppi Facebook, tra cui “NO all’Ilva di Taranto” e il più numeroso (2450 utenti) “TARANTO dice NO a ILVA, ENI e CEMENTIR !!!”
Scrivendo su Global Project, i cittadini fondatori del “comitato spontaneo e apartitico” Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti accusa lo stato, al pari della famiglia Riva, della situazione:
Siamo uomini e donne stanchi di dover scegliere tra lavoro e salute. Imputiamo all'intera classe politica di essere stata complice del disastro ambientale e sociale che da cinquant'anni costringe la città di Taranto a dover svendere diritti in cambio del salario. […] Pretendiamo che chi ha generato questo dramma, lo Stato prima, la famiglia Riva poi, paghi per il disastro prodotto.
Controappuntoblog.org, riporta le richieste di Operai Contro, in modo più esplicito:
Noi operai dell’ILVA vogliamo il salario completo anche se l’ILVA deve restare chiusa per dieci anni per la bonifica.
Il comitato, insieme ai principali sindacati rappresentanti dei lavoratori, hanno indetto una manifestazione il 2 Agosto, invitando:
Tutti coloro che considerano una vergogna il ricatto occupazionale a cui siamo stati costretti fino ad oggi e che vogliono immaginare e costruire insieme un'altra idea di città, a scendere per strada e a sfilare dietro il nostro striscione: “Sì ai diritti, No ai ricatti: Salute, Ambiente, Reddito, Occupazione.
Tale manifestazione è stata però teatro di scontri, non fra manifestanti e polizia ma tra due diversi gruppi sindacali e di manifestanti – i Cobas (sindacati indipendenti) e i rappresentati dei centri sociali hanno bloccato la manifestazione, usando fumogeni e lacrimogeni per impedire i comizi degli altri sindacalisti, con lo slogan “no a chi ci avvelena.”
Il 4 agosto il governo ha stanziato 336 milioni di euro per la riqualificazione degli impianti, e il ministro Clini ha dichiarato di essere al lavoro su un decreto legge che permetta di accelerare la bonifica. Il 7 agosto il Tribunale di Taranto ha confermato l’ordine di sequestro, consentendo allo stabilimento di operare solo per la bonifica.
Sul blog di Informare per Resistere, Maria Ferdinanda Piva scrive:
La bonifica promessa dal Ministro dell'Ambiente Clini sa tanto di bluff.
Per molti, le speranze sono finite da tempo. In un altro commento su Il Fatto Quotidiano, 9Nuer racconta:
Sono andato via da Taranto venticinque anni fa. Mio padre morto per un tumore al cervello, mio suocero per un cancro allo stomaco ( guarda caso due tipi di tumore che hanno provocato un incremento dei decessi, secondo la perizia medica ). […] Un consiglio alle nuove generazioni. Andate via. È doloroso, ma è la soluzione.
Resta ancora da definire quali saranno le sorti dei lavoratori, se effettivamente ci sarà una riconversione degli impianti che impiegherà gli attuali dipendenti dell’Ilva. Nel frattempo i danni causati dalla produzione dell’Ilva finora non cesseranno di farsi sentire sulla popolazione, che per molti anni ancora pagherà con la salute le conseguenze di decenni di inquinamento.