“Sono morto?”: il racconto di un testimone sopravvissuto a Gaza

“Violente esplosioni hanno scosso Gaza sotto i martellanti colpi inferti da Israele all'enclave palestinese. Secondo il Ministero della Salute della Striscia di Gaza sono 266 i palestinesi, di cui 117 bambini, uccisi dai raid aerei israeliani nelle ultime 24 ore.”. Screenshot dal video di Reuters: “Esplosioni fanno tremare Gaza per tutta la notte“, 22 Ottobre 2023. Libero utilizzo.

Questa storia è stata pubblicata [en – come i link seguenti, salvo diversa indicazione] per la prima volta da We Are Not Numbers il 19 Ottobre 2023.  È stata scritta da Abdallah al-Jazzar quale racconto personale degli incessanti bombardamenti israeliani su Gaza. Una versione aggiornata e rivista in seguito a un'intervista su X (ex Twitter) del 23 Ottobre 2023 tra l'autore e Global Voices è stata pubblicata qui nell'ambito di un accordo di condivisione dei contenuti.

In seguito all'offensiva del Movimento di Resistenza Islamica (Hamas [it]), che ha provocato la morte di 1400 israeliani il 7 ottobre scorso, Israele ha sferrato un attacco aereo su larga scala [it] su Gaza. Stando all'ONU, le vittime dell'attacco israeliano sulla Striscia di Gaza sarebbero oltre 5000, di cui donne e bambini rappresentano più del 62%, oltre a più di 15 273 feriti, con il cessate il fuoco che sembra ancora lontano.

Le operazioni di Israele comportano anche una «punizione collettiva», dal momento che il governo israeliano ha tagliato la fornitura di risorse indispensabili quali cibo, acqua, gas ed elettricità, mettendo a repentaglio la vita di 2,5 milioni di persone intrappolate a Gaza.

Il 15 Ottobre mi sono svegliato all'orrore dei potenti missili diretti contro la casa del mio vicino. Salah Zanoun, dottore di ricerca in materia contabile, è rimasto ucciso insieme al resto della sua famiglia. Mentre le loro vite si spegnevano, unite nel dolore, i loro volti lasciavano trasparire tutta la gravità di questo momento tragico.

Mi sono ritrovato in mezzo a loro, saldo nella mia determinazione di raccontare al mondo le atrocità sul campo. Ecco la mia testimonianza diretta degli ultimi attacchi israeliani a Gaza.

Erano le cinque del mattino quando i missili israeliani hanno colpito la casa di Salah. Ero profondamente addolorato e spaventato per gli incessanti bombardamenti. Ho dovuto aspettare fino alle prime luci del giorno prima di correre fuori e capire come potessi aiutare.

Quando arrivai, vidi i miei vicini unire le loro forze per rimuovere detriti e macerie. Mio cugino Mahmoud, già lì per dare per una mano, mi descrisse la portata della devastazione. Tutti i membri della famiglia di Salah erano intrappolati sotto le macerie, tranne sua figlia Aseel, di 19 anni, sopravvissuta per miracolo.

Dopo un'ora di sforzi incessanti, recuperammo i loro corpi senza vita. Salah, sua moglie, i suoi figli Ahmed, Saif e Ihab che amavano giocare a pallone per strada, e sua figlia Karima che sognava di diventare un'artista. Se n'erano andati tutti… per sempre.

Assistere al dolore e alla perdita è stato straziante e, nonostante i nostri sforzi collettivi, non abbiamo potuto far nulla per alleviare la sofferenza che permeava l'aria.

Ritornai al nostro rifugio temporaneo, la casa di un parente che aveva accolto diverse famiglie, per un totale di 40 persone. La nostra casa, situata a est, era stata investita da violenti bombardamenti, costringendoci a scappare via. Dal 15 ottobre abbiamo dovuto abbandonare anche la nostra dimora temporanea senza più un posto dove andare.

Condivisi questa tragedia con mia madre, con il cuore colmo di dolore. Mi ascoltò e, con voce tremante, mi disse: “Ci sono sempre per te, ma anch'io ho paura e avverto l'impotenza che incombe sulle nostre vite. Questa è Gaza, il posto in cui nessuno è al sicuro.”.

Nel bel mezzo di questa crisi in atto, un altro fardello pesava sul mio cuore. Provvedere ai bisogni primari della mia famiglia, garantire cibo e mantenere il servizio di approvvigionamento idrico era diventato una lotta estenuante del costo di 200 shekel israeliani (l'equivalente di 50 dollari, i risparmi di un mese per me).

La situazione disperata a Gaza ha aggravato ulteriormente questa problematica, dal momento che l'approvvigionamento idrico si sta rapidamente esaurendo a causa della mancanza dell'elettricità e del gas necessari a far funzionare le pompe. È stato Israele a tagliarci queste due risorse vitali.

Ho contattato decine di persone per chiedere aiuto. Mentre molti non mi hanno risposto o non sono riusciti a mettersi in contatto con me a causa della linea telefonica molto debole, c'è stato qualcuno che è riuscito a dare una mano: in particolare, mio zio Waleed, che vive lui stesso in condizioni umili, si è fatto avanti per rifornire i nostri serbatoi d'acqua. Era un modo per ricordarci che il supporto della famiglia è preziosissimo.

Sebbene l'aiuto di mio zio mi avesse fatto sentire più sollevato, mi sentivo avvilito per la mia impotenza nel provvedere al sostentamento della mia famiglia.

Lo stesso fatidico giorno, il 15 Ottobre, alle cinque del pomeriggio, andai giù a Rafah per prendere del cibo da un mio caro amico, Mohammed. Non appena ci incontrammo, un'esplosione assordante molto vicina a noi ci fece sobbalzare. Il mondo sembrava crollare intorno a me e mi aggrappai a Mohammed, temendo per la mia vita, mentre polvere e fumo riempivano il cielo.

“Sono morto?” Chiesi a Mohammed, stringendo forte la sua mano. La confusione e il panico erano palpabili. Più tardi, venimmo a sapere che Israele aveva colpito la “Women’s Christian Association” (“Unione Cristiana delle Donne”) vicina a noi. Sentii un tremendo shock e supplicai immediatamente Mohammed, dicendogli: “Dobbiamo assolutamente trovare Alaa (il nostro amico che abitava vicino alla “Women’s Christian Association”) e assicurarci che stia bene.”

Io e Mohammed ci incamminammo verso quella zona, a 50 metri dall'esplosione. La “Women’s Christian Association” era ridotta in un cumulo di macerie e anche la casa di Alaa era completamente devastata. La sua famiglia aveva subito le conseguenze dell'attacco: suo padre Arafat Tartori, i suoi fratelli Yaser e Abdallah e suo cugno Mohammed avevano perso la vita. Anche lo stesso Alaa era stato colpito e sua sorella ferita. Non ho potuto trattenere le lacrime. Non potevo fare nulla.

Tornai a casa con il fardello di quelle scene dolorose impresse nella mia mente: un ricordo indelebile che mi perseguiterà per tutta la vita. Servì a ricordarmi di come fosse fragile la nostra esistenza a Gaza.

Non fu solo la casa di Alaa a essere colpita. La distruzione si era estesa anche ad altre case del quartiere  – quelle di Jaber, Alsadawi, Alfraa, Hijazai e Alrekai. Quello che mi faceva soffrire di più di tutto è che quelle erano tutte case di amici.

Mentre rientravo a casa, ricevetti un messaggio da mio fratello. La nostra casa a est di Gaza aveva subito ingenti danni in seguito ai pesanti bombardamenti. Fu un ulteriore colpo di grazia: i miei sogni di sposarmi lì erano svaniti nel nulla in un botto.

Mentre noi sopportiamo incessanti difficoltà, vi chiedo di pregare per Gaza. Siamo sfiniti, il nostro futuro rimane incerto mentre affrontiamo la dolorosa realtà della pulizia etnica. Ma anche dinanzi all'oblio straziante, ci aggrappiamo a ogni barlume di speranza – perché è la speranza ciò che ci fa andare avanti in questi tempi duri.

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