Organizzazioni in difesa dei diritti umani chiedono un immediato cessate il fuoco fisico e digitale a Gaza

Manifestanti marciano a San Francisco chiedendo un cessate il fuoco nell'area di Gaza. Screenshot catturato da un video caricato da CBS News Bay Area. 28 ottobre 2023. In accordo con le regole del fair use.

Mentre la crisi nell'area di Gaza si intensifica, Global Voices si unisce alle più di 140 organizzazioni civili e agli attivisti nella richiesta di un immediato cessate il fuoco a Gaza e Israele. La supplica congiunta sottolinea il bisogno critico di porre fine alla violenza e prevenire ulteriori perdite di vite innocenti in Palestina, Israele, Libano e oltre.

La dichiarazione congiunta sollecita un intervento globale immediato al fine di fermare gli attacchi indiscriminati sui civili a Gaza e implementare un ‘cessate il fuoco digitale’ per porre fine agli attacchi online che hanno a bersaglio i palestinesi nel mondo.

Questa dichiarazione era stata originariamente pubblicata su Access Now [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] il 20 ottobre 2023.

I sottoscritti, organizzazioni digitali e in ambito di diritti umani, ci uniamo alla open call per la richiesta di un immediato cessate il fuoco per mettere fine all’ancora in corso spargimento di sangue a Gaza, fermare la catastrofe umanitaria ed evitare ulteriori perdite di vite innocenti in Palestina, Israele, Libano e oltre. Chiamiamo inoltre in causa governi, istituzioni internazionali, società in ambito tecnologico e altri stakeholder internazionali affinché si assumano le responsabilità delle azioni da loro messe in atto che hanno reso possibile e supportato gli incontrollati e indiscriminati attacchi di Israele sui civili a Gaza e chiediamo che tali soggetti mettano adesso in atto le azioni necessarie per aiutare a raggiungere un immediato cessate il fuoco e una pace più duratura. Ciò include decretare un “cessate il fuoco” digitale per porre immediatamente fine agli attacchi che prendono di mira i palestinesi di tutto il mondo.

Più di 4.200 persone sono state dichiarate morte e altre migliaia ferite, scomparse o intrappolate sotto le macerie. Un ulteriore 1.1 milione di palestinesi hanno ricevuto ordine dai militari israeliani di evacuare l’area nord di Gaza senza avere rifugi sicuri, il che equivarrebbe, stando a quanto affermano le Nazioni Unite, a un trasferimento forzato di civili – un crimine contro l’umanità. Le atrocità attualmente in atto, inclusi i ripetuti attacchi contro le strutture sanitarie e il relativo personale, hanno condotto a inimmaginabili distruzioni, traumi e perdite di civili. Questa continua escalation di violenza si aggiunge a un isolamento illegale e inumano a Gaza che priva milioni di persone di bisogni fondamentali quali cibo, acqua, medicine e elettricità.

Gli abitanti di Gaza – che hanno vissuto sotto occupazione militare e ingiustizie per 65 anni in quello che adesso è definito come un sistema di apartheid – stanno anche facendo esperienza di un quasi completo blackout delle comunicazioni. L’informazione è divenuta scarsa e la capacità di documentare le atrocità perpetrate nell’area è gravemente ostacolata. La distruzione dell’accesso a Internet e la presa di mira delle infrastrutture nell’ambito delle telecomunicazioni stanno contribuendo a incrementare la diffusione delle campagne di disinformazione e la propaganda di guerra sui social media, mentre diventa sempre più complicato accedere e verificare le informazioni in prima persona o condurre investigazioni indipendenti sulle atrocità commesse in quell’area.

A livello globale, le voci palestinesi, nonché tutti coloro che ne supportano la causa, sono stati il bersaglio di una larga campagna di repressione digitale per mezzo di fenomeni come la disinformazione, la censura, le molestie online, la diffusione di informazioni personali e lo shadow banning. I governi che regolarmente necessitano di una forte protezione dei diritti umani stanno incoraggiando gli attacchi indiscriminati di Israele inasprendo maggiormente i controlli sulla libera espressione e l’adunata pacifica, tanto online quanto offline. Allo stesso modo, le aziende di social media hanno finora fallito nel far fronte agli allarmanti livelli di disinformazione sulle loro piattaforme, le quali hanno contribuito alla violenza offline  e alla disumanizzazione nonché giustificato gli attacchi contro la popolazione civile. Tutto ciò, unito a un’ineguale, piena di pregiudizi e eccessiva applicazione delle politiche di moderazione del contenuto, ha portato al silenzio e al boicottaggio dei palestinesi.

Facendo seguito all’isolamento imposto da Israele nel territorio, il flusso di aiuti umanitari è anch’esso stato danneggiato a causa di cyberattacchi mirati aventi ad oggetto gruppi di soccorso come Medical Aid for Palestine (MAP). Siti web, agenzie di stampa e collettivi impegnati nella fornitura di risorse e coperture hanno dovuto affrontare attacchi DDoS che hanno portato i loro siti web a non funzionare. Nel frattempo, il procuratore generale di Israele ha approvato la chiusura dell’ufficio Al Jazeera, uno dei pochi organi di stampa internazionali con corrispondenti sul territorio che forniscono una copertura h24 da Gaza, ostacolando ulteriormente la libertà di stampa e l’accesso all’informazione nel territorio.

Nonostante queste barriere, difensori di diritti umani e giornalisti hanno documentato prove di diverse violazioni di leggi umanitarie internazionali dall’inizio di questa fase del conflitto, sia da parte di Hamas nel suo attacco ai civili in Israele il 7 ottobre sia da parte delle autorità israeliane nel corso della loro ancora in atto offensiva militare a Gaza. Tali violazioni includono l’uso, da parte di Israele, di ammonizioni di fosforo bianco in aree ad alta densità di popolazione (atto che può essere considerato un attacco indiscriminato e illegittimo sui civili), la presa di mira dei giornalisti (con almeno 21 morti tra loro dall’inizio della guerra) e il blocco degli aiuti verso Gaza. Anche diverse strutture mediche per civili sono state ripetutamente attaccate, con 51 attacchi contro strutture sanitarie che hanno portato alla morte di 15 persone tra il personale sanitario e 27 feriti, inclusa la recente esplosione all’ospedale Al-Ahli martedì 17 ottobre.

La comunità internazionale ha l’obbligo di assicurare che un immediato cessate il fuoco diventi effettivo. Il porre fine alla continua perdita di vite deve essere l’estrema priorità e i governi, le imprese e gli altri stakeholder devono, allo stesso modo, affermare il loro dovere di rispettare e proteggere i diritti umani unendosi alla chiamata a porre fine alle ostilità.

Tutte le parti prendenti parte al conflitto devono:

  • Porre immediatamente fine all’attacco indiscriminato alle infrastrutture civili, incluse quelle mediche, energetiche e delle telecomunicazioni e, più in generale, fermare l’uso di armi esplosive nelle aree urbane;
  • Prendere tutte le precauzioni possibili per proteggere i civili e astenersi da attacchi indiscriminati e sproporzionati;
  • Proteggere la sicurezza fisica e digitale, la dignità e l’integrità di chiunque sia privato della libertà – inclusa la protezione dalla curiosità pubblica sui social media e altri media comunicativi – e astenersi dall’usare campagne di disinformazione;
  • Assicurare che a tutte le persone private di libertà senza il dovuto processo sia concesso di ritornare in sicurezza presso le proprie famiglie – anche attraverso l’assistenza di intermediari neutrali come il CICR (Comitato Internazionale della Croce Rossa) che ha offerto il suo supporto tramite i canali tradizionali e, in maniera pubblica, sui social media; e
  • Affermare e dimostrare, attraverso le loro azioni, la loro aderenza alle leggi umanitarie internazionali.

Nello specifico, le autorità israeliane devono:

  • Concedere un sicuro, incondizionato e non ostacolato accesso umanitario a Gaza e alla sua popolazione e facilitare la messa in atto di assistenza di primo soccorso. Ciò include la necessità di ristabilire la libertà di movimento per gli individui e i beni nelle aree assediate, così come la fornitura di elettricità e di acqua – notando, in ogni caso, che la ristorazione dell’accesso a questi servizi è necessaria ma non sufficiente e non sostituisce la chiamata ad un cessate il fuoco totale e immediato;
  • Assicurare che la popolazione civile abbia accesso a delle infrastrutture di telecomunicazioni che siano libere, affidabili, stabili, aperte e sicure, permettendo loro di ricevere avvisi per tempo, comunicare con servizi umanitari e con i loro cari ed esercitare i diritti umani fondamentali che appartengono loro;
  • Assicurare la protezione di personale sanitario, personale umanitario, giornalisti e altri attori protetti. Ciò significa anche porre attenzione al problema della diffusione di campagne coordinate di disinformazione che danneggiano la neutralità del loro lavoro e aumentano la loro vulnerabilità;
  • Rescindere ordini per i civili di evacuare la parte nord di Gaza; e
  • Porre fine all’illegale isolamento della striscia di Gaza e la sua attualmente in atto occupazione dei territori palestinesi.

Gli attori del settore privato devono:

  • Aderire e affermare la propria responsabilità nel rispettare i diritti umani e mitigare i rischi e gli impatti negativi delle loro politiche, delle loro azioni e dei loro servizi in accordo con i Guiding Principles and Human Rights delle Nazioni Unite e comunicare, in maniera pubblica e costante, le azioni messe in atto per assicurare un continuo rispetto dei diritti umani;
  • Espandere ed includere, nei loro tentativi di mettere in atto una così definita due diligence “intensificata” a difesa dei diritti umani, tutte le potenziali aree di affari inclusa, ad esempio, quella riguardante il controllo sull’acquisto, da parte dei clienti, di specifici servizi di pubblicità mirata, all'interno della regione e da altre parti, per scopi di propaganda;
  • Prendere misure per proteggere ulteriormente account e dati degli utilizzatori da hackeraggio, sorveglianza, censura e altre minacce, e rafforzare le infrastrutture per proteggerle dall’accesso illegale;
  • Assicurare una completa trasparenza in merito alle richieste di governo ricevute – sulla base della legge o in linea con termini e condizioni – pervenute dalle autorità pubbliche israeliane, inclusa la Cyber Unit e, quantomeno, rivelare il tipo di contenuto da applicare, i dati riguardanti la quantità di contenuto rimosso in lingua araba e il tasso di conformità con le richieste del governo, incluse le basi legali per restrizioni;
  • Comunicare agli utenti, in maniera chiara, limitazioni, restrizioni o cambiamenti nel servizio di cui questi possono usufruire;
  • Fornire trasparenza in merito a dove sistemi di machine learning sono utilizzati per moderare il contenuto legato a Palestina e Israele, inclusi gli indicatori di accuratezza, il possibile margine di errore e i classificatori di machine learning;
  • Fornire informazioni in merito ai parametri usati da sistemi che suggeriscono contenuti con spiegazioni in merito al perché certe informazioni sono mostrate a certi individui, incluso il criterio più importante per determinare quali informazioni verranno mostrate e a chi;
  • Investigare in profondità un qualunque cyberattacco che vada a scapito dei diritti umani, e limitare il raggio di influenza di attori di propaganda sponsorizzata dallo Stato nonché la diffusione di disinformazione con una qualunque restrizione che sia in accordo con la legge e con i principi di legalità, legittimità, necessità e proporzionalità;
  • Preservare ed essere pronti a condividere apertamente, dove possibile, documentazioni sulla violenza per potenziali tentativi futuri di considerare qualcuno responsabile di violare le leggi umanitarie e le violazioni dei diritti umani e assicurare alle vittime l’accesso a delle soluzioni; e
  • Per investitori e istituzioni finanziare legate ad attività operanti nella regione, considerare queste attività responsabili della loro condotta e delle richieste di cui sopra.

I leader globali devono:

Firmatari:

Organizzazioni

  1. 7amleh – The Arab Center for the Advancement of Social Media
  2. Access Now
  3. Accountability Counsel
  4. Advocacy for Principled Action in Government
  5. AlgoRace
  6. ALQST
  7. Alternatif Bilisim (AIA-Alternative Informatics Association)
  8. Alternative Press Syndicate – Lebanon
  9. Annir Initiative
  10. Arab Center for Cyberspace Research.ACCR
  11. Asociación Conexión Segura y Libre
  12. Aspiration
  13. Association Droits, Justice et Accueil des Migrants d’Afrique et d’Ailleurs (DJAMAA)
  14. Association for Freedom of Thought and Expression (AFTE)
  15. Association for Progressive Communications (APC)
  16. AsyLex
  17. Bloggers of Zambia (BloggersZM)
  18. Business and Human Rights Resource Centre 
  19. Barracón Digital
  20. CARD Ethiopia
  21. Centre for Information Technology and Development (CITAD)
  22. Centre for Peace Studies, Croatia
  23. Citizen D – Državljan D
  24. CIVICUS
  25. Coding Rights
  26. Comision Legal Sol 
  27. Common Cause Zambia
  28. comun.al, Digital Resilience Lab
  29. Convocation Research + Design
  30. Código Sur
  31. CyberPeace Institute
  32. DAIR (Distributed AI Research Institute)
  33. DIG/SEC Initiative
  34. Digital Rights Foundation (DRF)
  35. Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR)
  36. Equinox Initiative for Racial Justice
  37. Eurasian Digital Foundation
  38. European Anti-Poverty Network (EAPN)
  39. European Legal Support Center (ELSC)
  40. European Network of People of African descent (ENPAD)
  41. European Sex Workers Rights Alliance (ESWA)
  42. FairSquare
  43. Fight for the Future
  44. Foundation for Media Alternatives
  45. Fundacion InternetBolivia.org
  46. Fundacion Karisma
  47. Global Voices
  48. Gulf Centre for Human Rights (GCHR)
  49. Hand in Hand Against Racism
  50. Hijas de Internet
  51. INSM Foundation for Digital Rights
  52. INSPIRIT Creatives NGO
  53. Instituto de Asuntos Culturales, España (IACE)
  54. International Network of Liberal Women (INLW)
  55. International Press Centre (IPC)
  56. International Service for Human Rights (ISHR)
  57. Intersection Association for Rights and Freedoms – Tunisia
  58. Irish Council for Civil Liberties
  59. Jordan Open Source Association (JOSA)
  60. Kandoo
  61. KISA – Action for Equality, Support, Antiracism (Cyprus)
  62. LaLibre.net Tecnologías Comunitarias
  63. Libya Crimes Watch (LCW)
  64. Libyan American Alliance
  65. Lucy Parsons Labs
  66. Majal.org
  67. Masaar-Technology and Law Community
  68. May First Movement Technology
  69. MENA Rights Group
  70. Next Billion Network
  71. NOVACT Institute for Nonviolence
  72. Nubian Rights Forum
  73. Numun Fund
  74. Open Observatory of Network Interference (OONI)
  75. Petites Singularités
  76. Privacy Network
  77. Purposeful
  78. Red Line for Gulf
  79. Refugee Wellbeing & Integration Initiative, Netherlands
  80. RosKomSvoboda
  81. SMEX
  82. Solidarité Laïque Méditerranée
  83. SUDS – Associació Internacional de Solidaritat i Cooperació
  84. Sukaar Welfare Organization
  85. Sukuamis | Saberes y Sanacion 
  86. Sursiendo
  87. Statewatch
  88. Surveillance Resistance Lab
  89. The Syrian Center for Media and Freedom of Expression (SCM)
  90. Taiwan Association for Human Rights (TAHR)
  91. Taraaz
  92. Techies for Reproductive Justice
  93. The Tor Project
  94. Transgress Digital Collective
  95. Tunisian United Network
  96. Waterford Integration Services, IRELAND

Individui (l'affiliazione a organizzazioni è menzionata solo per fini identificativi)

  1. Adam Shapiro, DAWN
  2. Adel Abdel-Sadek, scrittore e amministratore delegato di ACCR
  3. Afsaneh Rigot, direttore e fondatore, De|Center
  4. Ahmed Galai, attivista di diritti umani, Tunisia
  5. Alex Argüelles, tecnologo
  6. Amanda Bennett, professionista di informatica e cybersecurity
  7. Ana Elvira García López, coordinatrice di Circle U.Think eDo Tank on the Future of Higher Education, alumna Master MiM
  8. Apirak Nanthaseree, avvocato, Rising Sun Law
  9. Arpita Appannagari, difensore della libertà riproduttiva
  10. Asli Telli, ricercatrice e attivista in ambito di diritti digitali
  11. Azamaare S., espero in ambito tecnologico e community organizer
  12. Chatmanee Taisonthi, avvocato, Rising Sun Law
  13. Cyrus Sayah
  14. Dalia Impiglia, studentessa, Global Campus of Human Rights
  15. Dr. Mirjam Twigt
  16. Ekaterine Kolesnikova, alumna Master MiM
  17. Hajira Maryam, Media Manager, giornalista
  18. Jillian C. York, scrittrice
  19. Judith Membrives i Llorens, attivista di diritti digitali – Algorights
  20. Kinan Alajak, direttore, Refugee Wellbeing and Integration Initiative / Assistant researcher, Utrecht University
  21. Koen Leurs, associate professor, Utrecht University
  22. Lassane Ouedraogo, ex presidente e consiglio di amministrazione, Africa Solidarity Centre Ireland
  23. Lena Richter, alumna Master MiM; dottoranda
  24. Luca Stevenson, ESWAdR
  25. Luke Olynyk, sostenitore di diritti umani
  26. Mahsa Alimardani, ricercatrice e advocate
  27. Matt Mahmoudi, Affiliate Lecturer, University of Cambridge
  28. Meera Ghani, difensore di diritti umani
  29. Mher Hakobyan, difensore di diritti umani
  30. Nancy Awad, avvocato di diritti umani
  31. Nada Baher, alumna Master MiM
  32. Nicole Lopez, Director of Technology, organizzatrice di libertà riproduttiva
  33. Nissaf Slama, attivista di diritti umani
  34. Novita Pratiwi, lavoratori
  35. Øyvind Hanssen, membro del consiglio, EFN
  36. Raphael Tsavkko Garcia, giornalista
  37. Rebecca Ballard, ESG
  38. Rebecca Williams, ACLU
  39. Safiya Umoja Noble, autrice, Algorithms of Oppression 
  40. Saloua Abdou Elaniou, alumna Master MiM
  41. Sofia Enault, alumna Master MiM
  42. Tuuli Sauren, Art Director, attivista di diritti umani
  43. Vladimir Cortés, studente, Global Campus of Human Rights
  44. Yigit Aydin, ESWA

 

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