Il conflitto siriano è una questione personale per gli abitanti?

Salaheddin, Aleppo. PHOTO: Freedom House (CC BY 2.0).

“Hanno voluto negare alle famiglie il diritto di odiare un regime che ha ucciso, imprigionato e rapito i loro bambini” Una scena in Salaheddin, Aleppo, Siria. FOTO: Freedom House (CC BY 2.0).

Questo post fa parte di una serie speciale [en] di articoli scritti intolata “Dispacci dalla Siria: Marcell Shehwaro racconta la vita ad Aleppo”. Questi pezzi dalla blogger e attivista Marcell Shehwaro, i quali descrivono le realtà della vita in Siria durante il conflitto armato ancora in corso tra le forze fedeli all'attuale regime e quelle che cercano di spodestarlo.

Incontro il mio psicoterapeuta una volta a settimana, senza provare alcun sentimento vergogna, tanto diffusa nella nostra società nei confronti di questa pratica. Ma trascino un barile di colpa dentro di me, che sta portando via quello che è rimasto dell'amore per la vita nel mio cuore.

Mercoledì a mezzogiorno, è il momento che rubo dal lavoro per parlare di quasi tutto nella vita. Alla fine della seduta, lo psicoterapeuta mi dice: “Ma non parli mai di questioni personali.” E io sono colta di sorpresa, superata dallo sciocco desiderio di apparire sempre dalla parte della ragione o di avere il sopravvento in qualsiasi argomento (come un caro amico mi dice che faccio sempre), per dimostrare che è il mio terapeuta ad avere torto.

Ho fallito!

Non sono del tutto sicura di cosa significhi “personale” e “pubblico” nella normale vita di un siriano. I miei amici sono amici della resistenza – le nostre vite si sono intrecciate in seguito alla prigionia, della fuga e della memoria del nostro amico martire. L'unica persona rimasta nella mia famiglia con cui sono in contatto è mia sorella, che è stata costretta a spostarsi per motivi di sicurezza legati a me. Il suo spostamento è parte dell'emorragia siriana nel resto del mondo.

Il mio lavoro è una continuazione del coordinamento per la rivoluzione.

E persino il mio abbigliamento riflette il mio genere nelle assemblee in cui tradisco il mio diritto, in quanto donna, di apparire più seria secondo le generali norme della società. O forse è l'opposto: un riflesso della mia libertà di fronte alle imperdonabili interferenze nel rispetto della privacy delle donne.

Il mio corpo? Non so se mi piace o no. È parte delle mie convinzioni che la bellezza possa mostrarsi in forme diverse, contrariamente all'uniforme categorizzazione dei media riguardo a come la bellezza debba essere.

Vivo in città e non so come fare pace con questo fatto. È la più vicina alla Siria e la meglio organizzata tra le scelte disponibili. I miei sentimenti nei suoi confronti sono irrilevanti quando c'è di mezzo “il bene superiore per la causa”.

Tutto quello che leggo è sulla rivoluzione o sulla rivoluzione di altri, e alcune volte sulle loro guerre – la mia attuale fissazione, per esempio, è leggere sulla guerra civile libanese. Tutto ciò che scrivo è sulla rivoluzione e su come infuria in me.

Qualche tempo fa sono uscita per un appuntamento con un uomo. Lui ha iniziato la conversazione, forse per calmarmi, chiedendomi se sapevo dei colloqui della conferenza di Ginevra III, che si sarebbero tenuti presto. Avevo dimenticato cosa significasse incontrare qualcuno normale e parlare di cose normali. Non conosco nemmeno le ultime canzoni uscite, fatta eccezione per le canzoni rivoluzionarie prodotte negli ultimi cinque anni.

Non c'è niente di “personale”.

Persino la mia affermazione, nel primo paragrafo, riguardo all'andare da uno psicoterapeuta, è per incoraggiare le persone come me ad ammettere la loro depressione. È una dichiarazione costruttiva. C'è un delinquente armato nella mia testa e i miei pensieri felici sono sparpagliati con le bombe. Un migliaio di posti di blocco e di cecchini bloccano i ricordi dal fluire.

All'inizio della rivoluzione, i sostenitori di Bashar Al Assad erano soliti accusarci di dire che la nostra opposizione al regime è “basata su sentimenti personali”. Hanno voluto negare alle famiglie il diritto di odiare un regime che ha ucciso, imprigionato e rapito i loro bambini. Ma come distinguere il personale dal pubblico, nel tuo astio nei confronti di coloro che vogliono ucciderti solo perché hai tentato di far valere i tuoi diritti personali e pubblici?

Dopo questa sessione di brainstorming non riesco a essere arrabbiata con il mio terapista, ed evito il suo sguardo. Lui ha assolutamente ragione: devo interrompere il mio pacifico dibattito e confessare che sono spaventata dai miei pensieri.

Sorrido timidamente, come faccio di solito, quando lui supera con successo i miei tentativi di superarlo in astuzia. Vince tutti i miei tentativi di apparire forte e tutto il mio sarcasmo e ottiene una vera risposta:

Sono ormai oltre la riflessione della rivoluzione, invece di riflettere sulla guerra e, come la guerra, sono piena di malattie e morte? I miei sentimenti di colpa mi impediscono di urlare che una rivoluzione sana è prima di tutto il lavoro di persone sane. Sono spaventata per Marcell, della sua solitudine, o del valore della sua bussola confusa, della sua relazione con un Dio al quale, prima della guerra, era solita rivolgersi sempre. Ho paura di incontrarla e rimanerne terrorizzata.

Mi chiede, per il nostro prossimo appuntamento, di cercare uno spazio personale in cui possa divertirmi. Io sento – e sono una persona che ama le sfide – che questo potrebbe essere uno dei compiti più difficili che devo fronteggiare quest'anno.

Personale? Cosa per esempio?

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