Il 12 ottobre, appena 24 ore dopo che il primo ministro etiope Dr. Abiy Ahmed Ali è stato insignito del Premio Nobel per la Pace per il 2019 [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], gli organizzatori di una protesta sono stati arrestati e gli è stato impedito di partecipare a una conferenza stampa ad Addis Abeba.
I have learned that my former prison inmate, Nathanael Yalemzewed, is rearrested today for organizing a peaceful demonstration called by @eskinder_nega‘s movement, Balderas council. It didn't take 24Hrs since the @NobelPrize selected @AbiyAhmedAli for #NobelPeacePrize 2019. pic.twitter.com/tKypCt93sk
— Abel Wabella (@Abelpoly) October 12, 2019
Ho appreso che il mio ex compagno di carcere, Nathanael Yalemzewed, è stato arrestato oggi per aver organizzato una manifestazione pacifica richiesta dal movimento di @eskinder_nega, Consiglio di Balderas. Non sono passate nemmeno 24 ore dal momento in cui il @PremioNobel ha selezionato @AbiyAhmedAli per il #PremioNobelPerLaPace 2019
La manifestazione, prevista per il 13 ottobre in Piazza Meskel nella capitale etiope, è stata organizzata dal movimento del Consiglio Baladera per protestare contro la “rivendicazione di proprietà dei politici Oromo [it] su Addis Abeba”, e contro la “repressione” dei partiti politici e della società civile. Il Consiglio Baldera è guidato da Eskinder Nega, un giornalista e blogger etiope che è stato incarcerato più volte dal governo sotto diverse accuse.
As many feared the gov't of @PMEthiopia failed the first post- @NobelPrize test of respecting the right to protest in #AddisAbaba. While a pro-Abiy demonstration is allowed in haste, a protest planned much earlier is denied. This is unacceptable, dangerous trend of ODP operarives https://t.co/zbufmn7PBJ
— Mesfin መስፍን (@mesfine) October 13, 2019
Come molti temevano, il governo di @PMEthiopia ha fallito la prima prova post del @PremioNobel sul rispetto del diritto di protestare a #AddisAbaba. Mentre le dimostrazioni pro-Abiy sono sempre consentite, anche quelle organizzate all’ultimo, una protesta, sebbene pianificata molto prima, viene comunque negata. Questa è una tendenza inaccettabile e pericolosa degli operatori ODP.
Abiy, il giovane e carismatico leader
Il Comitato del Nobel norvegese ha annunciato il Premio Nobel per la Pace l'11 ottobre 2019, omaggiando il Dr. Abiy Ahmed Ali, insieme alla sua “decisiva iniziativa volta a risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea”.
@PMEthiopia I hereby join the rest of Africa and the world at large in celebrating with the great people of Ethiopia and Prime Minister Abiy Ahmed for winning the 2019 Nobel Peace Prize Award. The Government & People of Liberia extend warmest felicitations for this noble feat. pic.twitter.com/vbZqyfUuJK
— George Weah (@GeorgeWeahOff) October 11, 2019
@PMEthiopia Con la presente mi unisco al resto dell'Africa e del mondo intero, celebrando insieme al grande popolo dell'Etiopia e al primo ministro Abiy Ahmed per aver vinto il Premio Nobel per la Pace 2019. Il governo e il popolo della Liberia esprimono le più calorose felicitazioni per questa nobile impresa.
La notizia è stata accolta con entusiasmo, seppur anche con un po’ di incertezza.
Abiy, un ex ufficiale dell'intelligence di 43 anni, è diventato il quarto primo ministro dell'Etiopia lo scorso 2 aprile 2018. Egli ha immediatamente lanciato una serie di riforme che, oltre ad essere senza precedenti, sarebbero sembrate addirittura impossibili cinque anni fa.
Il suo predecessore, Hailemariam Desalegn, governò l'Etiopia con pugno di ferro, soffocando la libertà di parola, mandando in prigione i leader dell'opposizione e i giornalisti, e reprimendo violentemente il dissenso politico.
I conflitti di natura etnica non sono una novità in Etiopia, che conta oltre 80 gruppi distinti. Ma i disordini e le proteste nelle due più grandi regioni dell'Etiopia, Oromia e Amhara, innescati dall'invasione delle terre dell'Oromia derivante dall'espansione della regione di Amhara, hanno praticamente distrutto il Corno del paese africano dal 2015 fino all'inizio del 2018 – e hanno spinto Desalegn alle dimissioni “a sorpresa” ad aprile 2018.
Abiy ha partecipato alle elezioni del Fronte democratico rivoluzionario popolare etiope (EPRDF), portando a casa 108 voti su 180, per sostituire Desalegn come presidente del partito e, di conseguenza, come primo ministro del paese.
Oromo etnico con origini cristiane e musulmane miste, insieme all'esperienza militare e all'esperienza nell'intelligence militare, Abiy è stato visto come una figura in grado di alleviare le turbolenze nel paese. Un analista di Chatham House, che ha scritto in merito alle elezioni, ha attribuito la sua vittoria alla “costruzione segreta e complessa di alleanze” tra i quattro partiti politici che compongono l'EPRDF, e ha osservato che “sembra un po’ troppo presto, per essere riuscito realmente a convincere di essere in grado di portare stabilità, unità e la riforma al Paese”.
In un ordine relativamente breve, Abiy revocò lo stato di emergenza che la precedente amministrazione aveva imposto per reprimere i disordini, e liberò migliaia di prigionieri politici. La rapida inversione di tendenza del panorama politico ha spianato la strada al ritorno dei dissidenti in esilio, e allo sblocco di centinaia di siti web e canali TV. In particolare, Abiy ha modificato quel draconiano strumento di repressione politica, la legge antiterrorismo dell'Etiopia.
Ma il suo risultato più straordinario, però, è stato lo storico accordo di pace con la vicina Eritrea, che gli è valso il premio Nobel per la pace 2019:
Abiy Ahmed quickly worked out the principles of a peace agreement to end the long “no peace, no war” stalemate between the two countries. These principles are set out in the declarations that Prime Minister Abiy and President Afwerki signed in Asmara and Jeddah last July and September. An important premise for the breakthrough was Abiy Ahmed’s unconditional willingness to accept the arbitration ruling of an international boundary commission in 2002.
Abiy Ahmed elaborò rapidamente i principi di un accordo di pace per porre fine al lungo stallo, definito “nessuna pace, nessuna guerra”, tra i due paesi. Questi principi sono enunciati nelle dichiarazioni che il primo ministro Abiy e il presidente Afwerki hanno firmato ad Asmara e Jedda lo scorso luglio e a settembre. Una premessa importante per questa svolta è stata la volontà incondizionata di Abiy Ahmed di accettare la sentenza arbitrale di una commissione internazionale di confine nel 2002.
Ma le riforme di Abiy non sono proseguite certo senza opposizione. Nel giugno 2018, infatti, è sopravvissuto a un'esplosione che ha ucciso altre due persone durante una manifestazione politica nella provincia del Tigray. Come ha fatto notare il deputato tanzaniano January Makamba, uno dei coetanei generazionali di Abiy, in un tweet elogiativo: “L'Etiopia è un luogo difficile e complicato”.
La violenza etnica che ha comportato 2.9 milioni di sfollati nel 2018, e il colpo di stato fallito nella regione di Amhara lo scorso giugno, sono probabilmente due minacce alla sicurezza in grado di minare le elezioni nazionali previste per il prossimo anno. Inoltre, l'Etiopia ha ancora il più alto tasso di prevalenza della povertà nel mondo, nonostante i suoi forti indici economici. L'immagine del “riformatore liberale” di Abiy dipende dalla sua capacità di trasformare l'economia etiope.
L'Etiopia, sotto la sorveglianza di Abiy, continua inoltre a bloccare l’accesso a internet, le cui dinamiche sono “più complicate di quanto non fossero state prima dell'inizio delle riforme politiche”. Dall'11 al 14 giugno si è infatti verificato un blackout che a coinvolto la linea internet a livello nazionale, durante il quale anche i servizi di messaggistica SMS erano inaccessibili.
Il 26 settembre, la dott.ssa Getahun Mekuria, ministro per l'innovazione e la tecnologia dell'Etiopia, rappresentata dal ministro di Stato Ato Jemal Beker, ministro per il miglioramento della produttività, ha dichiarato nelle sue osservazioni di apertura al Forum on Internet Freedom in Africa (FIFAfrica), che sebbene il governo abbia aperto lo spazio digitale nel paese, permane “un forte bisogno di mitigare la libertà di Internet con meccanismi in atto per controllare i discorsi di odio, la disinformazione e la cattiva informazione online”.
Come dimostra l'incidente descritto all'inizio di questo articolo, la capacità di Abiy di sostenere la libertà di espressione e il dissenso politico in questa nazione del Corno d'Africa è legata a un fragile filo.
Prematuro o meritato?
Nonostante i problemi che continuano a tormentare l'Etiopia, tuttavia, è facile capire perché Abiy sia stato accolto come una boccata d'aria fresca. In un continente governato da leader anziani e talvolta malati, il dinamico 43enne rappresenta una pausa da una vecchia guardia che, in molti casi, contro ogni aspettativa si è aggrappata al potere.
Il presidente 75enne dell'Uganda, Yoweri Kaguta Museveni, ha preso il potere dal 1986, riducendo costantemente lo spazio politico nel paese dell'Africa orientale e distruggendo qualsiasi opposizione [it] al suo governo.
La Tanzania di John Magufuli è praticamente diventato uno stato di polizia, con la recente repressione della politica di opposizione, dei diritti umani e della libertà di stampa.
Muhammadu Buhari, 76 anni, della Nigeria ha anche scarsa considerazione per i diritti umani, la libertà di espressione o il dissenso politico.
E per l’appunto, data la debolezza della competizione, non potrebbe perciò essere troppo presto per cantare definitivamente le lodi di Abiy?
We really can afford to withhold praise & accolades from ANY African leader without a spotless record on free speech & human rights.
Heaven will not fall.
Our biggest problem is that most of our leaders, both smart & inept, become oppressors.
So freedom must be our #1 test.
— Andy Obuoforibo (@andyRoidO) October 11, 2019
Possiamo davvero permetterci di trattenere elogi e riconoscimenti da QUALSIASI leader africano senza un record immacolato sulla libertà di parola e sui diritti umani.
Il paradiso non cadrà.
Il problema più grande è che la maggior parte dei nostri leader, sia intelligenti che inetti, diventano degli oppressori.
Quindi la libertà deve essere la nostra prova numero 1.
Dopo aver assegnato il Premio Nobel per la Pace 2009 a Barack Obama, nei primi giorni della sua amministrazione, si sarebbe pensato che il Comitato Nobel sarebbe stato più avveduto nel conferire il riconoscimento ad un altro presidente in carica. Obama, per esempio, non ha mantenuto la pace in Libia; al contrario, ha creato una situazione di caos che continua ad infuriare fino a oggi.
Anche altri vincitori non sono riusciti a mantenere la promessa, in particolare il politico del Myanmar Aung San Suu Kyi, che ha vinto il premio nel 1991 mentre era agli arresti domiciliari – e da allora, in quanto capo del governo del paese, ha presieduto la pulizia etnica dei musulmani di Rohingya.
Il leader nord vietnamita Le Duc Tho ha respinto notoriamente il premio – presentato congiuntamente anche al controverso Henry Kissinger nel 1973 – sulla base del fatto che la pace non era stata ancora ripristinata nel suo paese.
And the Nobel committee jumps on the “Ethiopian Spring” train. A peace price for Abiy Ahmed!
He's made a lot of progress very quickly. But things are pretty fragile, and there are a lot of ways that the committee could end up regretting this. pic.twitter.com/3MIzTxbIQn
— John Ashbourne (@JohnAshbourne) October 11, 2019
E il comitato Nobel salta sul treno “Primavera etiope”. Un prezzo di pace per Abiy Ahmed!
Ha fatto molti progressi molto rapidamente. Ma le cose sono piuttosto fragili e ci sono molti modi in cui la commissione potrebbe rimpiangere ciò.
Si presume che il Comitato conceda tali premi nella speranza anticipata di incoraggiare il vincitore a continuare a percorrere un promettente percorso di progresso. Ma avrebbe più senso aspettare fino alla fine di un'amministrazione, e valutare obiettivamente solo in seguito se un individuo abbia effettivamente mantenuto la sua promessa, meritando così il premio.
Un altro motivo di cautela è che la maggior parte dei leader africani sopra menzionati non sono nati come despoti. Museveni ha combattuto e cacciato il dittatore omicida Idi Amin. Quando Magufuli prese le redini del potere, era un giovane ragazzo, manifesto per la trasparenza e la governance frugale. L'integrità di Buhari, e la sua apparente tolleranza zero per la corruzione, lo hanno reso il “Messia” che la Nigeria desiderava da molto tempo. Persino il compianto Robert Mugabe [it], dello Zimbabwe, era una volta uno dei più importanti combattenti per la libertà in Africa, ma finito poi per lasciare l'incarico in disgrazia dopo 37 tumultuosi anni.
La critica afferma anche che il primo ministro “fa affidamento sul suo carisma per guidare il cambiamento”, piuttosto che ricorrere alle strutture istituzionali del governo. Sebbene ciò possa essere efficace e utile per ridurre la burocrazia governativa, potrebbe al contempo non essere sufficiente per fornire una base adeguata alle riforme sostenibili a lungo termine.
Abiy si dimostrerà diverso dagli altri, continuando sulla strada della pace e delle riforme? O seguirà la famigerata via che i suoi contemporanei del continente hanno già percorso? Sia per l'Etiopia che per l'Africa, spero sia la prima delle due ipotesi.