Proteste in Iran: proiettili vaganti e chiusura di internet

Manifestanti alle proteste di Ariashahr, Tehran 15 novembre 2019. Foto di GTVM92 – Lavoro proprio (CC BY-SA 4.0) https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=84030078

Le proteste sono scoppiate [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] in tutto l'Iran ricco di petrolio da quando il governo ha annunciato, a mezzanotte del 15 novembre, un forte aumento dei prezzi della benzina. L'annuncio è arrivato quando il paese si trova in una situazione economica disastrosa a causa delle paralizzanti sanzioni statunitensi, della corruzione e della cattiva gestione delle istituzioni finanziarie. Il governo ha affermato che l'aumento dei prezzi ha lo scopo di aumentare le entrate per finanziare sussidi in denaro per i cittadini più poveri dell'Iran.

Lo Stato ha reagito alle proteste con forza brutale e mortale, chiudendo internet, ma finora non è riuscito finora a fermare i manifestanti. Gli slogan di protesta sono tendenzialmente più politici che economici, con i manifestanti che cantano contro i leader della Repubblica islamica, la politica estera e in alcuni casi esprimono sostegno alla dinastia Pahlavi.

Amnesty International ha condannato l'azione repressiva dello Stato.

Siamo inorriditi per le notizie secondo cui dozzine di manifestanti sono stati uccisi in Iran, centinaia di feriti e oltre 1000 arrestati da venerdì. Siamo allarmati dal fatto che le autorità abbiano chiuso Internet per creare un blackout di informazioni sulla loro brutale repressione. Stiamo indagando.

Il governo iraniano ha cominciato ad affrettare l'emissione dei pagamenti promessi a milioni di iraniani, segno che il regime è preoccupato dalla portata delle proteste, durante la quale i protestanti hanno dato fuoco a banche, scuole religiose, basi militari e uffici governativi.

#ProtesteIran giorno 4:

Autostrada Teheran-Karaj, un'importante via di trasporto, chiusa da proteste.

Fiori e proiettili

L'Iran è stato teatro di manifestazioni diffuse circa due anni fa, e mentre quelle proteste hanno una certa somiglianza con l'attuale rivolta, ci sono anche differenze chiave.

Saeed Payvandi, un accademico e sociologo con sede a Parigi, ha dichiarato a Global Voices che “il movimento di oggi è spontaneo e senza leader e richieste poco chiare come quelle precedenti al 2017-18″. Payvandi osserva che i canti dei manifestanti prendono di mira in modo molto specifico figure come il leader supremo Ayatollah Khamenei [it] e il presidente Rouhani [it]. Un'altra differenza principale, afferma Payvandi, è che “i manifestanti, contrariamente a due anni fa, stanno cercando di essere visibili occupando strade e piazze”.

Payvandi afferma che il forte aumento dei prezzi della benzina ha “conferito al movimento una legittimità economica, anche se gli slogan sono diventati rapidamente radicali. Il problema principale, come prima, è cercare di conquistare l'opinione pubblica e portare le persone nelle strade”.

Una buona parte del pubblico è d'accordo con i manifestanti, dice Payvandi, ma sono titubanti ad unirsi a loro. “Le autorità conoscono l'esitazione della classe media e delle élite non dipendenti dallo Stato, ed è per questo che creano caos e insicurezza. A breve termine, il vincitore è lo Stato iraniano, perché la classe media avrà paura di unirsi i manifestanti”.

Le persone stanno morendo in silenzio.

Shahed Alavi, un giornalista che monitorare i movimenti di protesta, ha detto a Global Voices che uno delle differenze maggior è la gamma di classi sociali partecipanti. “Due anni fa,” afferma Alavi, “erano soprattutto i poveri a protestare nelle città per lo più piccole. Ma questa volta le classi medie si sono unite a loro, e la protesta è più diffusa, essendo emersa nelle grandi città di Tehran, Shiraz, Isfahan, e nelle città più piccole”.

Un'altra differenza fondamentale, afferma Alavi, è l'estrema violenza usata dalle forze dell'ordine. Secondo una fonte del Ministero degli Esteri, il bilancio delle vittime è vicino a 200, mentre migliaia sono state ferite e almeno 1000 sono state arrestate. La Guardia rivoluzionaria iraniana [it] ha anche riferito che tre dei suoi membri sono morti in scontri con manifestanti.

Mentre la violenza e la repressione sono onnipresenti nel Paese, alcuni manifestanti promuovono la pace e messaggi di non violenza:

I manifestanti che danno fiori alla polizia dicendo “Non siamo il nemico”, a Shiraz.

Dov'è finito internet?

Un'altra differenza rispetto alle precedenti proteste è la portata dell'attuale chiusura di internet.

L'Iran ha una lunga storia di censure, filtraggio e repressione degli internauti, ma con la chiusura quasi totale di internet di sabato 16 novembre, il governo è entrato in un nuovo territorio. Alp Toker, direttore esecutivo di NetBlocks, una ONG per i diritti digitali, ha dichiarato alla CNN che l'attuale chiusura di internet è stata “la disconnessione di NetBlocks più grave mai verificatasi in termini di complessità tecnica e ampiezza.”

Amin Sabeti, un ricercatore di internet con sede a Londra, osserva che l'arresto sta avvenendo proprio mentre il presidente Rouhani e il ministro delle telecomunicazioni e la tecnologia hanno promosso l'idea della libertà di internet. “Abbiamo visto un completo blackout in Iran”, afferma Sabeti. “Il modo principale di comunicazione è quello vecchio stile, cioè una telefonata.”

L'ambasciatore degli Stati Uniti in Germania ha affermato che gli Stati Uniti hanno la capacità tecnica di ripristinare la connettività Internet in Iran, ma Sabeti ritiene che ciò non sia plausibile.

Attenzione internazionale

Gli iraniani al di fuori del paese hanno cercato di sensibilizzare l'organizzazione di manifestazioni, ma è difficile esercitare pressioni sul governo iraniano, poiché il paese è sanzionato e già abbastanza isolato.

Secondo Azadeh Pourzand, attivista dei diritti umani e direttore della Fondazione Pourzand, il governo iraniano tiene profondamente alla sua immagine internazionale.

“Sicuramente c'è ancora una leva per la comunità internazionale di esercitare pressioni sull'Iran alla luce dei recenti disordini e dell'uso della violenza per reprimere i manifestanti”, afferma Pourzand. “Se non altro, picchiare e uccidere i manifestanti può diventare un atto scomodo per la Repubblica Islamica e causare la perdita di qualsiasi legittimità internazionale rimanente”.

Pourzand crede, in ogni caso, che le proteste recenti non stiano attirando l'attenzione che si meritano. “Questo in parte potrebbe avere a che fare con considerazioni politiche di alcuni giornali e pubblicazioni”, afferma. “Ma c'è anche un altro fattore da considerare questa volta: vediamo una tendenza globale in termini di malcontento, rivolte e proteste dei cittadini. Ad esempio, proprio ora i manifestanti di Hong Kong sono al telegiornale, ma sono stati in strada per lunghe settimane e non sono sempre arrivati ​​ai titoli dei giornali. Sono successe così tante cose recentemente in Cile e non sono sicuro che gli iraniani lo abbiano seguito da vicino come (ci) aspettavamo che il mondo ci seguisse”.

Questa è la ragione per cui Pourzand crede che il ruolo della diaspora iraniana sia la chiave di volta. “Mettiamola così,” dice. “Se la copertura internazionale non è sufficiente, è anche in parte colpa nostra poiché non disponiamo di risorse sufficienti per comunicare e sostenere efficacemente con le pubblicazioni internazionali in modo tempestivo e in lingue come inglese, francese, tedesco, arabo, spagnolo ecc. Inoltre, non dimentichiamo quanto sia difficile ottenere notizie dall'Iran e verificarne i dati. I giornali internazionali hanno un bisogno costante di aggiornamenti e testimoni oculari, di cui purtroppo non disponiamo sufficientemente. Inoltre, gli iraniani stanno stanno rischiando la vita per accusare il proprio governo come responsabile. Per lo meno meritano di essere riconosciuti e non abbandonati “.

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