In Algeria, la repressione online prende di mira i manifestanti Amazigh attivi nel movimento Hirak

Manifestanti posano con le bandiere algerina e Amazigh a Tizi Ouzou, Algeria. Foto di Kader Houali, usata con permesso.

Un venerdì mattina dell’estate 2019, una donna marciò verso il centro di Algeri, camminò di fronte a una fila di poliziotti e chiese ad alta voce la deposizione del generale militare Ahmed Gaid Salah (ora deceduto) ore prima della manifestazione che ebbe poi luogo quello stesso pomeriggio.

La bandiera Amazigh è stata bandita in Algeria nel giugno 2019.

Nel giugno 2019, Gaid bandì la bandiera Amazigh [fr, come tutti i link seguenti, salvo diverse indicazioni] che appartiene ai Berberi della Cabilia. Dopo questa decisione, decine di manifestanti furono arrestati per aver fatto sventolare al bandiera insieme a quella nazionale durante le proteste del movimento Hirak, fondato nel Febbraio 2019 contro l’allora presidente Abdelaziz Bouteflika che si era candidato per il quinto mandato [en].

“Questa donna fu doppiamente coraggiosa dato che al mattino si verificano molti più arresti e poi era impossibile parlare a Gaid” affermò Meziane Abane, un giornalista che riuscì a immortalare il momento. Caricò il video sulla pagina Facebook del suo giornale web, L'Avant-Garde Algérie ( le autorità algerine hanno recentemente bloccato il sito web). 

Subito poco dopo iniziarono gli insulti. Frasi come “siete il residuo della Francia” “La Francia è la vostra madre” e “Figli della Francia” si riversarono nella sezione commenti. In un giorno, il video ottenne un milione di visualizzazioni e 4 milioni di commenti.

Questo perché quelli della regione della Cabilia spesso sono associati alla Francia, colonizzatrice dell’Algeria. Le persone di questa zona spesso vengono accusate di essere separatisti e di minacciare “l’unità nazionale”.

“Quello fu il momento in cui capii il potere di quelle provocazioni” afferma Abane in una intervista telefonica con Global Voices. “Mi chiedevo, ma quando la smettono? Finiranno mai? Smisero alle sei del mattino”.

Lo stesso Abane proviene dalla città di Bouïra ,a Cabilia, una regione montagnosa che si affaccia sul Mar Mediterraneo e casa degli Amazigh. I commenti avevano come obiettivo gli attivisti di Cabilia e i toni erano razzisti.

La regione è stata centrale per il movimento Hirak. Dopo che Bouteflika diede le dimissioni ad Aprile, il movimento continuò a manifestare ogni Martedì e Venerdì per richiedere una revisione del sistema. (fino a Marzo quando le proteste furono annullate a causa del Covid-19).

A dicembre gli attivisti Hirak boicottarono le elezioni nazionali. Circa il 40% della popolazione algerina prese parte al voto mentre a Cabilia ci fu quasi il 100% delle astensioni.

Il razzismo verso gli attivisti e i cittadini di Cabilia non è nuovo, ma secondo Abane si è rafforzato nel 2019.

La storia della parola “zuavo”

Zuavo Algerino, dell'esercito francese, 1886, dalla serie militare (N224) pubblicata dalla società Kinney Tobacco per promuovere le sigarette Sweet Caporal. Foto da Wikimedia Commons via Kinney Brothers Tobacco Company / C.C.0.

Ad Aprile, il giornalista algerino Khaled Drareni che si occupò delle manifestazioni del movimento Hirak venne condannato a otto mesi di carcere con le accuse di incitamento all’attacco dell’unità nazionale. Lo scorso anno, in un’intervista con Global Voices, affermò che la sua copertura di Hirak ha provocato un copia incolla di commenti che lo accusarono di lavorare per la Francia, di essere pagato dai francesi, chiamandolo zuavo.

Ouissal Harize, studentessa di dottorato presso l’università Durham che fa ricerche sulla violenza della forza coloniale in Algeria, ci spiega che la parola “zuavo” si riferisce a un gruppo di uomini algerini di Cabilia che furono assunti dalla Francia durante l’occupazione dell’Algeria come parte dell’unità di fanteria e che lavorarono per l’esercito francese dal 1830.

Ci sono varie opinioni sull’origine etimiologica del termine. Harize la riporta alla parola “izouf”della lingua cabila che vuol dire “gettare”. Ma afferma che può anche provenire dal termine arabo pronunciato male di “agawaw” che si riferisce alla confederazione delle tribù cabile.

Nel 1860, anche altri eserciti chiamarono i loro reggimenti di fanteria zuavi. Harize aggiunge inoltre che molti pittori europei come Vincent Van Gogh scelsero lo zuavo come soggetto popolare dei dipinti.

presenza dei Cabili nell’esercito francese è verificabile, “il termine oggi viene usato da alcune persone per denigrare tutti i cabili ed è quindi diventato un termine razzista”.

È una battaglia ideologica” tra i nazionalisti arabi e i movimenti Amazigh, spiega Nacer Djabi, professore di sociologia all’Università di Algeri:

The Arab nationalists call people from Kabylie zouaves to say that they were with colonisation at the start, [in order] to create a complex for the Kabyle people who present themselves as great revolutionaries during the war for independence. It is a manipulation of national history for contemporary politics.

Gli arabi nazionalisti chiamano le persone di Cabilia ‘zuavi’ per affermare che loro stavano con i colonizzatori fin dall’inizio, mettendoli così in cattiva luce quando i cabili si definiscono grandi rivoluzionari durante la guerra d’indipendenza. È una manipolazione della storia nazionale per la politica contemporanea.

‘Discorso tossico e pieno d'odio’

Oggi, i provocatori sfruttano questa discussione storica sulla definizione e sul significato del termine zuavo, creando una cospirazione sul movimento Hirak affermando che è “diretto dalla elite laica Franco Berbera che cerca di appropriarsi del movimento” afferma Redouane Boudjema, professore di media e comunicazione all’Università di Algeri.

Boudjema afferma che le false informazioni sono state diffuse anche su figure storiche dei Cabili, come per esempio Hocine Aït Ahmed, un comandante delle prime battaglie contro il potere coloniale che fu parte anche del governo provvisorio post- indipendenza prima di dimettersi per creare il primo partito di opposizione in Algeria.

Boudjema spiega:

Fake news about Algerian history is used to feed a hateful, toxic discourse against a region [Kabylie], which was always at the vanguard of the struggle for democratic transition.

Fake news sulla storia algerina vengono usate per alimentare un discorso tossico e di odio nei confronti della regione di Cabilia, che è sempre stata in prima linea nella battaglia per una transizione democratica.

Nell’ultimo anno, il regime attuale ha strumentalizzato la retorica anti cabili per cercare di indebolire il movimento Hirak.

L'essere Amazigh è riconosciuto [en] nella costituzione algerina come una delle componenti principali dell’identità del paese e recentemente le autorità hanno intrapreso varie mosse per integrare la cultura amazigh: il Tamazight venne introdotto come lingua ufficiale nel 2016 e il primo mese dell’anno Amazigh- yannayer – divenne festa nazionale nel 2018.

Nonostante questo, nel giugno 2019 mentre i manifestanti Hirak protestavano, Gaid represse i simboli Amazigh mettendo al bando la bandiera e arrestando coloro che l’avevano.

Manifestanti marciano per le vie di Tizi Ouzou con una gigantesca bandiera Amazigh. Foto di Kader Houali, usata con permesso.

“La discriminazione dei cabili esisteva ben prima del 22 Febbraio ed era a livello istituzionale” afferma Kader Houali, avvocato e attivista per i diritti umani da Tizi Ouzou, in Cabilia, sottolineando quanto tempo è occorso per poter ottenere il riconoscimento della lingua. Ma aggiunge che questo tipo di discriminazioni esiste nella società, così come nel sistema, ed è sostenuto sia da certe figure pubbliche che dai giornalisti.

Houali, insieme ad altri due avvocati, ha denunciato Naima Salhi, presidentessa del partito “de l’équité et de la proclamation” (PEP) per “incitamento all’odio razziale e per aver chiesto l’uccisione dei cittadini cabili”. È una dei tanti politici e giornalisti che “attaccano qualsiasi cosa che sia diversa” (non araba e non islamica)” aggiunge.

Salhi usa il profilo Facebook del suo partito per condividere video in cui appella i cittadini “a marginalizzare i cabili e a uccidere quelli che chiamano zuavi e ‘la comunità del demonio’. In quello che è una richiesta di morte e violenza” afferma Houali, aggiungendo che giovani bloggers postano appelli simili.

In un video pubblicato verso la fine del 2019, Salhi afferma che i cabili non sono algerini ma “immigrati” che discendono dai Vandali [it]. Nel video dice che è una vergogna che “gli algerini permettano a questi cani di fare ciò che vogliono”.

In un altro video, registrato subito dopo la morte di Salah avvenuta il 23 dicembre 2019 [en], Salhi avverte: “State attenti a questo gruppo pericoloso e alla loro bandiera!”.

In una serie di commenti denigratori, si rivolge ai Cabili e agli ebrei dicendo “ecco perché non vi sopportiamo”. Inoltre si riferisce alla bandiera Amazigh come “bandiera zuava”.

Mentre non esiste alcuna legge che condanni la discriminazione regionale o razziale, Houali spera che possano rifarsi alla sezione del Codice Penale che condanna “la minaccia all’unità nazionale”, ironicamente la stessa legge usata per arrestare i manifestanti per aver sventolato la bandiera amazigh.

Abane pensa inoltre che la campagna anti zuavi sia riuscita a fermare alcuni manifestanti Hirak. “Questo è il rifiuto per l’altro, è razzismo: attaccano i cabili e non c’è nessuna azione, né da parte di Facebook né dal sistema giudiziario algerino” afferma.

Per ora, quello che può fare è filtrare le minacce dalla sua pagina Facebook, ma questo non ferma i provocatori che semplicemente aggirano il sistema aggiungendo una lettera e usando quindi il termine “azuavo”.

Questo articolo è parte di una serie chiamata “La matrice identitaria: come si devono regolare le piattaforme nel caso di minacce online contro varie modalità di espressione in Africa” Questi articoli si interrogano sull'incitamento all'odio online causato da discriminazione di lingua o provenienza geografica, sulla disinformazione e sulle molestie (specialmente verso attiviste e giornaliste) presenti negli spazi digitali di sette paesi Africani: Algeria, Cameron, Etiopia, Nigeria, Sudan, Tunisia e Uganda. Il progetto è sostenuto dal fondo Africa Digital Rights Fund dell'istituto CIPESA: Collaborazione sulla politica internazionale delle TIC per l'Africa orientale e meridionale

avvia la conversazione

login autori login »

linee-guida

  • tutti i commenti sono moderati. non inserire lo stesso commento più di una volta, altrimenti verrà interpretato come spam.
  • ricordiamoci di rispettare gli altri. commenti contenenti termini violenti, osceni o razzisti, o attacchi personali non verranno approvati.