Il nuovo governo del Burundi revocherà le restrizioni imposte alla stampa, che una volta era così vitale?

La Casa della Stampa a Bujumbura. <a href="https://www.flickr.com/photos/dw-akademie-africa/5736248375/in/album-72157627039547521/">Foto</a> di DW Akademie - Africa via Flickr. <a href="https://creativecommons.org/licenses/by-nc/2.0/">CC BY-NC 2.0</a> [en]

Press House a Bujumbura. Foto su Flickr dell'utente DW Akademie — Africa. CC BY-NC 2.0

In seguito alla ripresa del dialogo con l'Unione Europea, il governo del Burundi ha di recente intrapreso azioni atte a risolvere le controversie con diversi media, che sono sottoposti a restrizioni [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] sin dalla crisi politica del 2015, destando un cauto ottimismo tra la stampa indipendente.

Nel 2015 nacquero delle controversie circa il terzo mandato dell'allora presidente Pierre Nkurunziza, visto da molti come incostituzionale, dando origine a forti proteste e persino a un fallimentare colpo di stato il 13 maggio. Le conseguenze sono state centinaia di morti e diverse migliaia di fuggiti come rifugiati. Durante le proteste anche i canali mediatici sono stati presi di mira, con tanti che si sono visti costretti a chiudere, mentre gli operatori dei media sono stati spinti all'esodo in seguito alle violenze [fr] subite, spesso rivelatesi fatali [fr].

Una volta passato il periodo di maggiore volatilità, la crisi aveva ormai lasciato i media ridotti all'osso; ad oggi è ancora difficile che le narrazioni delle autorità vengano contraddette. L'accesso limitato alla radio in un paese in cui anche l'accesso a internet è di per sé scarso ha portato a una maggiore influenza [fr] delle dicerie e, in anni recenti, persino alla disinformazione [fr].

Prima del 2015 i media indipendenti del Burundi si riteneva fossero di grande vitalità, un successo post-bellico. Tuttavia, nella classifica dell'Indice Mondiale della Libertà di Stampa della RSF il Burundi è passato dal 142° posto nel 2014 al 160° nel 2020.

Il Paese potrebbe però essere sull'orlo del cambiamento. Il Presidente Évariste Ndayishimiye [fr], eletto l'anno scorso, sta cercando di rafforzare i rapporti diplomatici, in particolare con l'Unione Europea (UE) che dal 2015 ha imposto la sospensione degli aiuti e sanzioni [fr] alle cariche di governo per la violazione dei diritti umani.

Rilanciare la stampa del Burundi sembra essere tra le principali priorità del nuovo presidente, che mira a ripristinare la reputazione internazionale del Paese.

A dicembre quattro giornalisti del giornale Iwacu, uno dei pochi organi di stampa rimasti attivi dal 2015, sono stati graziati e rilasciati di prigione; erano stati arrestati [it] arbitrariamente nel 2019 mentre svolgevano un reportage su un gruppo armato.

A gennaio il presidente ha contattato il Consiglio nazionale per la comunicazione (CNC), un ente di regolamentazione dei media, per risolvere le controversie con vari organi di stampa.

Il risultato principale [fr] dell'incontro di questo mese è stato l'impegno preso dalla CNC di tentare di sbloccare il sito web di Iwacu, uno dei pochi giornali rimasti attivi dopo la crisi.

Iwacu è bloccato [fr] in Burundi dai fornitori di servizi internet o dalle autorità sin dall'ottobre 2017, senza aver mai ricevuto alcuna spiegazione e pur rimanendo accessibile internazionalmente. Netbloks ha confermato l'anno scorso che il sito è stato bloccato da tutti i fornitori, facendo notare che una tale coordinazione può solo significare che sia stata ordinata dall'alto.

Durante l'incontro la CNC si è inoltre impegnata a revocare una decisione del 2018 che obbliga Iwacu a mantenere chiusa la propria sezione dei commenti.

Anche il direttore di Radio Bonesha, Léon Masengo, si afferma soddisfatto del gesto del governo, ma ha lamentato la difficile situazione economica in cui si ritrovano in seguito al lungo periodo di inattività. Gli impianti radiofonici sono stati distrutti nel 2015, ha aggiunto, invocando aiuti economici.

La RSF ha allo stesso modo accolto con favore la mossa del presidente, esprimendo il desiderio che il dialogo continui e che i giornalisti in esilio possano ritornare in tutta sicurezza.

I media sotto restrizioni dal 2015

Durante i fermenti del 2015 e la conseguente pesante risposta del governo, diverse radio burundesi – media che raggiungevano più persone – sono state attaccate.

Rema FM, considerata vicina al governo, secondo quanto riportato sarebbe stata attaccata dai sostenitori del colpo di stato, mentre le indipendenti Isanganiro, Radio Bonesha FM, Radio-Télé Renaissance e Radio Publique Africaine sono state attaccate [fr] da agenti del governo e lasciate impossibilitate [fr] di operare.

Le ultime tre non hanno più trasmesso da allora, mentre Isanganiro e Rema hanno riaperto [fr] tempo dopo. L'emittente nazionale RTNB e il giornale indipendente Iwacu hanno invece continuato, mentre altri, come SOS Médias Burundi [fr], Inzamba radio e Yaga-blog [fr], sono passati ai social media [fr] e al giornalismo [fr] “sotto copertura”. Nel maggio 2018, anche la BBC e Voice of America sono state [fr] sospese.

Il presidente della CNC Nestor Bankumukunzi ha dichiarato che l'incontro del primo febbraio era soltanto un primo contatto e necessita quindi di un seguito; ha inoltre specificato che non è compito della CNC risolvere la questione dei giornalisti in esilio.

Apertura diplomatica

La sospensione degli aiuti diretti al governo da parte dell'UE ha causato considerevoli difficoltà economiche, e alcuni ufficiali burundesi hanno accusato [fr] l'UE di sostenere i golpisti.

Dal canto suo, l'UE ha perso influenza in Burundi, mentre altri Paesi, in particolare la Russia e la Cina, hanno mantenuto legami più stretti. Considerando le pressioni internazionali e il fatto che la critica sia divisa e inefficace fin dal 2015, l'UE e il nuovo governo del Burundi sembrano motivati a rinsaldare il legame.

Ma sebbene sia un notevole passo avanti, Iwacu ha sottolineato [fr] il fatto che mentre l'amministrazione burundese sembri sperare in un cambiamento rapido, i rappresentanti dell'UE paiono più inclini a un riavvicinamento graduale.

Una lettera firmata all'inizio di questo mese da 43 membri del Parlamento europeo afferma [fr] che la revoca delle sanzioni può avvenire solo sulla base di cambiamenti concreti, tra cui la riapertura dei media e il rilascio di giornalisti e difensori dei diritti umani come Germain Rukuki, arrestato nel 2017 e condannato a 32 anni di prigione con l'accusa di “ribellione” e “minaccia alla sicurezza dello stato” [fr]:

Burundi: I parlamentari europei hanno stabilito le loro condizioni per la revoca delle sanzioni nei confronti del Burundi. Riapertura dei media RPA, Renaissance e Bonesha FM. Reclamano inoltre la riapertura delle organizzazioni chiuse…

Il giornalista Bob Rukurika ha espresso il suo supporto al dialogo con l'UE, affermando tuttavia la necessità di un maggiore cambiamento. Ha inoltre condiviso una dichiarazione congiunta dei capi dei media ancora sotto sanzione:

Thierry Uwamahoro: I capi dei media in esilio e l'associazione dei giornalisti burundesi rispondono all'invito improvvisato del presidente Ndayishimiye all'istaurazione di un dialogo tra i media sottoposti a sospensione e le autorità: sono pronti al dialogo, ma perché la libertà di stampa non vive nel vuoto; insistono affinché ci sia un dialogo più ampio tra i burundesi.

Bob Rugurika: RPA, Tele Reinaissance e Union Burundaise des Journalistes si sono espresse sul messaggio del presidente. Sono pronte a predisporre tutto in vista del ritorno dello Stato di diritto in Burundi.

Nonostante tali successi diplomatici, recenti rapporti, tra cui quello della commissione d'inchiesta dell'ONU e dell’iniziativa per i diritti umani del Burundi (BHRI), hanno descritto i continui abusi protratti dagli agenti della sicurezza, lo spazio politico di chiusura e le preoccupazioni per la nomina di figure integraliste a posizioni governative di alto livello.

Sorprende [fr] il fatto che la Corte suprema del Burundi abbia postato pubblicamente il 2 febbraio la notizia che 34 figure in esilio avevano ricevuto senza alcun preavviso pesanti condanne detentive sette mesi prima, nel giugno 2020. Questa mossa è stata criticata come una “parodia della giustizia” in una dichiarazione [fr] congiunta rilasciata lo stesso giorno da organizzazioni della società civile.

Resta quindi ancora da vedere quanto cambiamento ci si possa aspettare, oltre alle formalità diplomatiche, per i media e altre questioni urgenti.

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