Questo articolo e servizio radio di Naomi Gingold [en, come i link seguenti salvo diversa indicazione] per The World è stato originariamente pubblicato su PRI.org l'11 settembre 2015; viene qui ripubblicato nell'ambito di un accordo di condivisione dei contenuti.
Per molto tempo la distillazione del sakè in Giappone è stata un'industria operata da proprietari che non distillavano e maestri fabbricanti di sakè itineranti, detti tōji, che vivevano nelle distillerie durante la stagione invernale e poi andavano a casa.
L'industria è però in declino: il numero di consumatori di sakè è calato, quello delle distillerie giapponesi è crollato a circa metà rispetto agli anni '70 e i mastri distillatori sono anziani, spesso riluttanti ad adeguare le proprie abitudini per raggiungere clienti nuovi o più giovani.
Emi Machida, tōji o mastra distillatrice di sakè della distilleria Machida nella prefettura di Gunma spiega: “Per rimanere in attività, abbiamo deciso di diventare una distilleria in cui i proprietari sono anche distillatori, di produrre il sakè che noi stessi vorremmo bere. Perciò 10 anni fa abbiamo smesso di usare il sistema dei mastri distillatori itineranti”.
La sua famiglia possiede la distilleria da più di 130 anni, ma lei è la prima tōji della famiglia.
Machida è in prima linea in un movimento di proprietari distillatori in crescita in Giappone. Ma il suo è anche un caso particolare, perché è una delle poche tōji donne in quello che è stato a lungo un mondo esclusivamente al maschile.
Secondo alcuni nell'antichità la distillazione del sakè era un lavoro da donne. Infatti i caratteri con cui era scritta originariamente la parola tōji possono anche significare “signora della casa”.
Ma ai tempi in cui era il nonno di Machida a gestire la distilleria, “le donne erano considerate sporche, impure, perciò lui diceva che le donne non potevano entrare nella distilleria, considerata uno spazio sacro” racconta Machida.
Il sakè in Giappone è spesso usato nelle cerimonie religiose e la Machida, come quasi tutte le distillerie di sakè, è stata benedetta da un sacerdote scintoista e decorata da corde sacre.
Da ragazza Machida non immaginava di diventare una distillatrice. Dopo l'università a Tokyo, come molte donne, si era trovata incastrata in un lavoro senza prospettive o sbocchi, a portare il tè e fare fotocopie.
Da primogenita, aveva sempre coltivato l'idea di tornare a Gunma e gestire l'attività di famiglia.
All'inizio della sua carriera di tōji non tutto filava liscio: i suoi impiegati si rifiutavano di ascoltarla.
“Se dicevo di poggiare qualcosa da una parte, lo mettevano da un'altra. Le cose non venivano mai fatte come chiedevo” racconta “Alla fine tutti se ne andavano alle 5 e io restavo in piedi fino a notte fonda a rifare tutto da capo”.
Aveva anche sentito dire che molti clienti non volevano comprare sakè preparato da una neofita e, in particolare, da una distillatrice donna.
Ma ora non sente più commenti del genere. Dall'inizio della sua attività come tōji dieci anni fa, il sakè pregiato della distilleria Machida ha vinto il primo posto al concorso annuale Japan Sake Awards sette volte. Non era mai successo con il vecchio tōji.
Per produrre il sakè, si comincia raffinando lo strato esteriore del riso; dal grado di raffinatura dipende il pregio del sakè. Il riso viene poi lavato, cotto al vapore e (nella procedura più breve) fermentato.
I dettagli sono estremamete importanti: che tipo di riso e di acqua si usa, quanto spesso e in quali fasi o micro-fasi della produzione si regola la temperatura.
Ci vogliono 45 giorni per produrre un barile di sakè.
Oggi, in quanto mastra distillatrice, Machida non solo supervisiona il lavoro degli impiegati, le attrezzatture e l'assaggio del sakè, ma fin dal primo giorno di produzione è presente nella bottega: trasporta tonnellate di riso, trascorre un paio di giorni e di notti in una stanza a quasi 40° per preparare il fermentante, trasporta secchi d'acqua da 14 chili su e giù per le scale e mischia barili da 3.000-6000 litri di riso in fermentazione. Distillare è un lavoro fisicamente massacrante.
Per apprendere quest'arte, Machida ha studiato con esperti distillatori e sui libri. “Sto ancora studiando ma, in sostanza, la cosa più importante è realizzare un sakè di cui si è soddisfatte e che si vorrebbe bere” dice.
Pur rispettando le antiche tradizioni, ritiene che sia importante sperimentare nuovi modi di fare le cose.
Spesso frequenta eventi di studio mensili con altri tōji ed è anche parte del “Kura Josei No Kai”, l'Associazione delle donne nell'industria del sakè.
Machida sostiene che il sostegno di queste donne, in particolare delle tōji più anziane, sia stato fondamentale.
“Unirmi al gruppo mi ha dato coraggio ed energia” aggiunge. Ha realizzato che non è sola e che anche le altre affrontano gli stessi problemi.
Ci sono circa venti tōji donne in tutto il Giappone e Machida spesso organizza eventi con loro.
Sottolinea che essere una donna nell'industria ha i suoi lati positivi: essendo qualcosa di insolito, attira l'attenzione di media e clienti. A volte i distillatori più anziani sono più incuriositi dalla possibilità di insegnare a delle donne.
Cosa più importante, oggi Machida è rispettata per il suo delizioso sakè.
Purtroppo non ci è possibile darvi un assaggio nel nostro articolo, ma potete trovarlo a Tokyo, in gran parte del Giappone e forse un giorno anche all'estero.
“È uno dei miei sogni” dice Machida.