Le tattiche di censura oscurano il successo del Vietnam nella sua risposta al COVID-19

La risposta al COVID-19 del Vietnam è acclamata da molti, ma le sue politiche restrittive sulla libertà di parola sono spesso ignorate nelle inchieste. Immagine di Thomas Gerlach da Pixabay

Questo articolo [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] è di The 88 Project, un sito di notizie indipendente che si occupa di Vietnam, ed è stato modificato e ripubblicato su Global Voices come parte di un accordo per la condivisione di contenuti.

Il Vietnam è emerso come una storia di successo nel trattamento del COVID-19, mentre la pandemia continua a devastare il pianeta. Con le statistiche ufficiali che mostrano solo 300 casi confermati e nessuna morte, ci sono pochi dubbi che le autorità abbiano conseguito risultati notevoli nel contenere la diffusione della malattia che ha reclamato più di 400.000 vite nel mondo.

Questo risultato non deve tuttavia oscurare le tattiche repressive del governo vietnamita nel censurare l'informazione legata alla pandemia.

Anche paesi come Taiwan e la Corea del Sud hanno mostrato al mondo la propria competenza con bassi tassi di trasmissione e mortalità. Ma non hanno fatto ricorso a repressione di stato per ottenere questi risultati. In effetti, molte delle azioni delle autorità vietnamite indicano che stanno utilizzando la pandemia per normalizzare pratiche da stato di polizia.

Forze di pubblica sicurezza controllano l'opinione pubblica

Secondo un giornale di proprietà dello stato, entro la fine di marzo, 700 individui erano già stati multati [vi] dalle forze di pubblica sicurezza, che operano per il Ministero di Pubblica Sicurezza, per frasi legate al coronavirus.

Un sguardo ravvicinato su questi casi suggerisce che la maggior parte di questi coinvolgeva individui che esprimevano semplicemente preoccupazione sui social network. Queste preoccupazioni avrebbero potuto facilmente essere affrontate dal governo attraverso trasparenza e programmi di informazione intensivi per supportare i cittadini.

Ad esempio, nella provincia di Ha Giang, tre docenti sono stati multati [vi] in circa 10 milioni di Dong (approssimativamente 450 dollari) semplicemente per aver detto “L'epidemia è fuori controllo!” postando fotografie di pazienti vietnamiti in un'area di quarantena.

Secondo forze di pubblica sicurezza, questi post hanno causato “panico non necessario” tra la gente. Hanno anche affermato che quello costituiva disinformazione perché le fotografie venivano da diverse province, e non dalla Ha Giang.

Un medico a Can Tho è stato multato per un breve status che diceva, “(La provincia) Can Tho ha il suo primo caso. I residenti devono potenziare il proprio sistema immunitario prendendo più vitamine e cibo ricco di minerali.”

Le autorità locali a Can Tho puntualmente hanno annunciato il primo caso poco dopo il suo post.

La maggior parte delle frasi online che hanno comportato multe non erano né pericolose per la gente, né dannose nei confronti degli sforzi nazionali contro il COVID-19. Tuttavia gli “autori” sono stati convocati, brevemente trattenuti, ed interrogati dalle forze di pubblica sicurezza locale come se avessero commesso gravi crimini.

Cavalcando il sostegno pubblico per una “causa nazionale unificante” nella lotta contro il COVID-19, le autorità giustificano così l'eccessivo ed arbitrario coinvolgimento dell'apparato di sicurezza nella vita pubblica.

L'accettazione di questa pratica continuerà a minare il ruolo dell'opinione pubblica nel controllo ed equilibrio del già potente regime vietnamita, ed in tal modo alla lunga a negare il diritto di libertà di espressione.

Criticare lo Stato è un reato penale

Mentre il cosiddetto allarmismo è stato per lo più punito con multe, le critiche allo Stato durante la pandemia hanno portato in alcuni casi al carcere.

Ma Phung Ngoc Phu, un cittadino di Can Tho, è stato arrestato l'11 aprile 2020 ed in seguito condannato a nove mesi di prigione. Il suo presunto crimine è stato di chiedere: “Ci sono notizie che una persona sia morta di coronavirus in Vietnam, perché gli organi di stampa non parlano di questo?” in un post su Facebook.

Altri elementi inclusi nell'indagine sono stati i suoi “mi piace” e commenti a vari post critici nei confronti delle misure e politiche dello stato contro il COVID-19.

Un'altra vittima della pratica arbitraria è Dinh Thi Thu Thuy — un altro cittadino di Can Tho. Secondo le accuse nei suoi confronti, Thuy ha aperto vari account su Facebook per modificare, postare e condividere migliaia di documenti che diffamano e calunniano la direzione del Partito Comunista di maggioranza.

Forze di pubblica sicurezza hanno anche aggiunto che durante il corso della “guerra nazionale” contro il COVID-19, Thuy ha usato i social media per distorcere la politica di stato e creare confusione nella gente. Thuy si trova al momento in detenzione probatoria e rischia tra cinque e 12 anni di galera se condannata.

Nella provincia di Thai Nguyen, la Procura Popolare ha ufficialmente accusato Pham Van Hai [vi], secondo l'Articolo 288 del Codice Penale, per “fornitura ed utilizzo illegale di informazione su reti informatiche o di telecomunicazioni.” Sui social media, Hai aveva sostenuto che le persone contagiate dal coronavirus erano morte nella provincia di Thai Nguyen. Hai metteva in dubbio l'integrità dell'informazione ufficiale.

Questi casi di criminalizzazione arbitraria della libertà di parola sono una violazione dei requisiti legali su diritti umani internazionali. La restrizione di libertà d'espressione e le relative pene non sono né “previste per legge”, come richiesto dall'Articolo 19 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, né passano il test di “necessità e proporzionalità,” come spiegato nel Commento Generale No. 39 nella stessa convenzione.

Come molti gruppi di diritti internazionali hanno osservato, la pandemia di COVID-19 ha offerto un'opportunità unica per dittatori e regimi autoritari per affermare la loro superiorità sulla vecchio modello della “democrazia liberale” e rafforzare sistemi repressivi.

Un breve quadro della situazione in Vietnam mostra che queste tattiche contribuiscono ben poco ad una campagna anti COVID solida e riuscita. E, cosa ancora più importante, minacciano di abbassare ulteriormente l'asticella della repressione dell'espressione online che potrebbe durare più a lungo della pandemia.

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