L'agghiacciante storia della sorveglianza di massa e dello spionaggio in Ruanda

Un partecipante documenta i materiali da costruzione a zero emissioni nel corso della campagna del 2017 Rwanda Green Growth Week. Fotografia di Rwanda Green Fund su Flickr, CC BY-ND 2.0.

Questo articolo fa parte di UPROAR [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], un'iniziativa di Small Media che esorta i governi ad affrontare le sfide dei diritti digitali alla Revisione Periodica Universale (UPR).

Lo Stato ruandese si basa su due narrative contrastanti.

Da un lato, il Ruanda è il Paese prediletto dei benefattori occidentali, che lo vedono come un fulgido esempio dello sviluppo africano, specialmente per quanto concerne lo sviluppo di internet e la trasformazione digitale. Il Ruanda ha ricevuto il plauso globale per l'ampia copertura della rete mobile, la notevole copertura della rete 4G e la produzione di smartphone locali.

Dall'altro, agisce come uno Stato autoritario con un potere egemonico e fortemente centralizzato. Il Fronte Patriottico Ruandese (FPR), il partito di maggioranza, si è erto come l'unico garante della pace, della sicurezza e dello sviluppo dopo che il Paese ha attraversato un periodo di enorme transizione politica all'indomani del genocidio del 1994 e della guerra civile, quando molti politici, giornalisti ed esponenti della società civile sono stati uccisi, deportati o screditati.

Lo Stato giustifica il rigido controllo sulla libertà dei media, la repressione del dissenso e l'ostilità nei confronti dell'opposizione come questioni di unità e sicurezza nazionali, prendendo specificatamente di mira una diaspora politicamente attiva fuggita dal Ruanda per vivere in esilio dopo la guerra, di cui fanno parte sia ex membri dei movimenti ribelli armati che attualmente risiedono nella Repubblica Democratica del Congo orientale che ex figure governative fuggite dal Ruanda per unirsi ai partiti politici in Europa o negli Stati Uniti.

Considerato il passato di controversa violenza etnica del Paese, il governo ha sviluppato una sofisticata strategia di monitoraggio attivo e di smantellamento delle voci dell'opposizione ricorrendo a cyber sorveglianza, minacce e violenza, non solo nella regione dei Grandi Laghi, ma in tutto il mondo.

Negli ultimi tre anni, lo Stato ha inoltre ampliato la portata della sorveglianza di massa locale con la recente attivazione di una rete di telecamere a circuito chiuso in tutti i quartieri della capitale Kigali.

Molteplici sono gli esempi del presunto dispiegamento tecnologico dello Stato contro i dissidenti e i membri dell'opposizione, come dimostrano numerosi casi giudiziari in cui l'accusa ha presentato comunicazioni private provenienti da applicazioni di chat.

Nel settembre del 2017, sono emerse prove dell'uso da parte della sicurezza nazionale e del servizio di intelligence di tecnologie e di altri programmi spia per monitorare le attività online dei dissidenti e dei membri dell'opposizione.

Ad esempio, nel 2017, solo pochi mesi dopo aver annunciato la sua corsa alle presidenziali, la politica Diane Rwigara è stata arrestata insieme alla madre e alla sorella con false accuse di evasione fiscale e di istigazione contro il governo. Durante l'udienza preliminare, l'accusa ha presentato come prova contro di loro un messaggio audio WhatsApp presumibilmente recuperato dai cellulari della Rwigara e della madre. Si pensa che le autorità siano entrate in possesso dei messaggi grazie a un programma spia.

Nel 2019, un'inchiesta condotta dal Financial Times ha gettato ancora più luce sulla tendenza dello Stato a monitorare da vicino l'uso dei social media da parte dei cittadini. Il report ha rivelato il possibile uso ad opera dello Stato di uno spyware Pegasus creato da un'azienda tecnologica israeliana.

Attraverso lo spyware Pegasus, le agenzie di sicurezza possono raccogliere i dati dagli smartphone dei cittadini (inclusi telefonate, contatti, password e tutti i dati trasmessi tramite applicazioni quali WhatsApp o Skype) senza lasciare traccia.

Il diritto alla privacy è sancito sia dalla Costituzione della Repubblica del Ruanda che dalla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), di cui il Ruanda è firmatario.

Ma la legge nº60/2013, che regola l'intercettazione delle comunicazioni, autorizza l'accusa a emettere un “mandato verbale” alla sicurezza nazionale e al servizio di intelligence per sorvegliare, intercettare e decriptare qualsiasi informazioni generata, trasmessa, ricevuta o archiviata su qualsiasi risorsa informatica per ragioni di sicurezza nazionale.

Inoltre, l'assenza di una legislazione specifica sulla protezione dei dati personali ha fornito ai servizi di sicurezza ruandesi un margine discrezionale per raccogliere impunemente dati.

Quando lo Stato abusa degli strumenti di sorveglianza, mette tutti i cittadini a rischio. Al momento, in Ruanda manca un quadro normativo appropriato che funga da guida all'utilizzo delle tecnologie online in un contesto di sicurezza nazionale.

Lo Stato deve riflettere su come regolare l'uso e l'applicazione di queste nuove tecnologie. L'autorizzazione deve basarsi su prove oggettive fornite da un giudice o da un altro corpo legale indipendente. Inoltre, lo Stato dovrebbe proibire la raccolta indiscriminata di dati personali, tenendo conto di essi solo quando strettamente necessario.

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