Cambogia: governo e UNESCO implicati nello sfollamento di massa ad Angkor Wat

Angkor Wat in Cambogia. Foto tratta da Wikipedia, Creative Commons license CC BY-SA 2.0 DEED

Il governo cambogiano è sotto accusa dopo che, questa settimana, il 14 novembre, Amnesty Internation ha emesso un rapporto [en, come i link seguenti, se non diversamente indicato] che riporta come, dal 2020, 10.000 famiglie siano state forzatamente sfollate dall'iconico complesso templare di Angkor Wat [it], sito UNESCO dal 1992. Il rapporto accusa anche l'UNESCO di non aver compiuto il mandato delle Nazioni Unite evitando di intervenire a protezione dei diritti dei residenti di Angkor.

I trasferimenti fanno parte di un programma pluriennale di “conservazione” a seguito del quale il governo cambogiano ha smantellato insediamenti in tutto il parco archeologico – un sito che si estende per oltre 400 acri, ospitando migliaia di rovine templari ed almeno 112 villaggi. Le autorità affermano che il loro scopo è quello di proteggere le rovine cacciando gli occupanti abusivi e gli insediamenti non autorizzati. Secondo il governo quesi danneggerebbero l'ambiente sfruttando eccessivamente le risorse idriche. 

Secondo il rapporto, le autorità cambogiane hanno intimidito e molestato oltre 40.000 persone, costringendole a spostarsi dal parco templare a siti sterili e mal attrezzati a fronte di un minimo – se non nessuno – indennizzo.

Il luogo di destinazione è parimenti controverso. La terra di un sito, nei dintorni della città di Run Ta Ek, è stata espropriata dai cittadini nel 2005 senza nessun indennizzo. Quando, nel novembre 2022, si è venuti a sapere che il terreno sarebbe stato utilizzato per ospitare la gente sfollata da Angkor Wat, oltre 200 famiglie hanno bivaccato nella zona per protesta. Ad oggi non hanno ancora ricevuto nessun compenso.

Un residente, di nome Pren, ha detto a Voice of Democracy (VOD), un’ emittente cambogiana di informazione ora defunta, “Questa è un'ingiustizia, perché il terreno in effetti è mio. Hanno preso la mia terra e la hanno data a residenti illegali di Angkor. A me non va bene.”

Il terreno attorno ad Angkor Wat è una zona protetta, per cui, tecnicamente, nuovi progetti di sviluppo sono illegali. Ciononostante, nel 2005 l'UNESCO ha effettuato una verifica per comprendere se i progetti abitativi e di sviluppo nel parco fossero una minaccia per il Patrimonio Mondiale, ed ha trovato la protezione “soddisfacente” — pur raccomandando alle autorità cambogiane di chiarire la situazione legale con riferimento ai diritti di proprietà nel parco. Ciò non è però avvenuto, ed ora i mandati UNESCO vengono utilizzati per giustificare i continui spostamenti dei residenti di Angkor Wat.

Molti conflitti derivano dalla natura informale del possesso territoriale in Cambogia. Molte persone non hanno documenti ufficiali per il possesso delle terre, ma sono vissuti su quei terreni, sovente coltivandoli a riso o portando avanti commerci informali, per generazioni. È incredibilmente difficile garantire atti fondiari in Cambogia, cosa che rende la popolazione particolarmente vulnerabile a espropririlocazioni

Quest'azione di spostamento ad oltre un'ora dal sito templare ha privato diverse famiglie dei mezzi di sostentamento, in quanto molti traevano il proprio guadagno dalla coltivazione di risaie nella zona o dalla vendita di merci o servizi ai turisti. Di conseguenza i residenti hanno dichiarato che i villaggi di destinazione soffrono di fame e disoccupazione.

A causa del processo di spostamento effettuato in maniera affrettata, i nuovi insediamenti non hanno, o hanno minime, infrastrutture, come strade, acqua corrente, elettricità e possibilità di lavoro. In molti casi i residenti sono stati costretti a smantellare le proprie case ad Angkor Wat e a utilizzare il materiale per ricostruire nei nuovi insediamenti – anche se, sovente, il materiale non è sopravvissuto al processo di smantellamento.

Le condizioni nei nuovi insediamenti sono talmente grame che molti residenti hanno già abbandonato le loro nuove abitazioni.

Un uomo riempie un laghetto in uno degli insediamenti. Foto via Voice of Democracy, usata con licenza.Un residente di Angkor Wat, la cui casa ed attività sono state smantellate, ha  detto a  VOD,  “Sono d'accordo che le nostre costruzioni dovevano venire spostate, ma così è troppo in fretta. Stanno facendolo con una velocità che mi sconvolge.” 

Per decenni, comunità hanno vissuto in questi insediamenti circostanti Angkor Wat. Molte di queste non hanno l'autorizzazione ufficiale da parte dello stato e sono state considerate “illegali” dalle autorità.

Un residente, intervistato per il rapporto di Amnesty International, ha detto: “Dicono che non sia obbligatorio, ma, se non lo fai perderai il tuo terreno… così ci siamo offerti  volontari.” 

Un'intervistata, una donna di nome Dewi, riferisce che le autorità hanno usato l'UNESCO per giustificare il processo di rilocazione. Le hanno detto “l'UNESCO vuole che tu te ne vada – temiamo che l'UNESCO ritiri il sito dallo stato di Patrimonio dell'Umanità – perciò devi andartene.” Inoltre aggiunge: “voglio chiedere all'UNESCO perché ci caccia. Non abbiamo mai fatto del male ai templi. Quando ero bimba giocavamo e ci arrampicavamo e mantenevamo pulita Angkor Wat.”

In risposta al rapporto, il portavoce del governo cambogiano, Pen Bona, ha detto che il rapporto “non era corretto”, assicurando che gli spostamenti sono stati effettuati su base volontaria per aderire alle normative stabilite dall’UNESCO, che impediscono la presenza di strutture o abitazioni sul sito. 

Ciononostante, in un'intervista condotta da Amnesty International, l'ampia maggioranza degli intervistati ha risposto che non voleva andarsene. Il rapporto recita:  “quasi tutti … hanno dichiarato di essere stati costretti o spinti a lasciare Angkor cn intimidazioni, pressioni, minacce ed atti di violenza da parte delle autorità cambogiane.”

Montse Ferrer, Deputy Regional Director per la ricerca in Amnesty International, ha  dichiarato:

Cambodian authorities cruelly uprooted families who have lived in Angkor for several generations, forcing them to live hand to mouth at ill-prepared relocation sites. They must immediately cease forcibly evicting people and violating international human rights law.

Le autorità cambogiane hanno crudelmente sradicato famiglie che da generazioni vivono in Angkor, costringendole a vivere alla giornata in insediamenti preparati male. Devono immediatamente smettere di sfrattare la gente e violare le leggi internazionali sui diritti umani. 

A seguito di pesanti critiche internazionali, l'UNESCO ha dichiarato di essere “estremamente preoccupata del programma di rilocazione di Angkor,” aggiungendo di non averlo “mai richiesto, sostenuto, né averne preso parte.” Da allora ha richiesto alle autorità cambogiane di intraprendere “misure correttive” per porre rimedio alla situazione.

In un'intervista con il “Guardian”, il direttore di sensibilizzazione di Naly Pilorge a Licadho, un'organizzazione cambogiana per i diritti umani, ha ulteriormente criticato la potenziale complicità dell'UNESCO negli sfollamenti, dichiarando: “Invece di dare forza a queste comunità affinché possano riunirsi e sostenere le loro rivendicazioni, l'UNESCO fa finta che non stiano avvenendo sfollamenti forzati sotto il suo naso.”

Prima della pandemia COVID-19, Angkor Wat richiamava oltre 2.6 milioni di turisti all'anno. Viene considerato il sito religioso più vasto del mondo. La Cambogia sta incrementando sensibilmente il turismo come mezzo per riprendersi economicamente dalla pandemia COVID-19.

Se 10.000 famiglie sono state trasferite, molte continuano a lottare per restare sulle loro terre. Ci sono state innumerevoli proteste negli ultimi due anni per questi costanti sfollamenti – sebbene il dissenso sovente comporti delle conseguenze. 

L'ente che gestisce il parco archeologico, APSARA, al momento è in causa contro sette residenti che hanno rifiutato di lasciare Wat, accusandoli, il 30 ottobre, di “incitamento ed ostacolo ai lavori pubblici” dopo che avevano protestato davanti alle autorità venute a demolire le loro abitazioni.

Nel frattempo Licadho preannuncia nuove rilocazioni nonostante l'aumentata pressione internazionale.  

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