Netizen Report: gli abusi sui domestici nel Golfo rivelano l'incapacità delle aziende tech di proteggere i diritti umani

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Il Netizen Report di Advox offre un'istantanea internazionale di sfide, vittorie e nuove tendenze in fatto di tecnologia e diritti umani nel mondo. Questo articolo presenta notizie ed eventi avvenuti dal 27 ottobre al 10 novembre.

Secondo un'inchiesta della BBC [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], alcuni abitanti del Kuwait, dell’Arabia saudita e di altri paesi del Golfo utilizzano app mobili e servizi di social media per acquistare e vendere lavoratori domestici sul mercato nero. I risultati sembrano indicare delle chiare violazioni delle regole e delle condizioni di servizio degli sviluppatori delle principali piattaforme coinvolte, vale a dire Instagram, Google e Apple.

I lavoratori domestici del Golfo, spesso originari dell'Africa o del Sud Est Asiatico, sono assunti secondo un sistema di sponsorizzazione chiamato kafala [it]: la persona o la famiglia che li assume si fa garante del loro permesso di soggiorno o del loro statuto giuridico. Questo sistema è noto per il trattamento inumano dei lavoratori. Negli ultimi anni, alcuni hanno approfittato dei social network per esporre il loro disagio, ma a volte ciò è costato loro delle sanzioni da parte dei propri datori di lavoro o anche da funzionari governativi.

Due giornalisti della BBC sono andati sotto copertura in Kuwait, con l'intento di riferire la storia e presentandosi come una coppia interessata ad assumere un lavoratore domestico. Su Instagram e Facebook e attraverso app come 4Sale, disponibili su Apple Store e Play Store, i giornalisti hanno trovato persone che acquistavano e vendevano lavoratori domestici violando le leggi sul lavoro locali. “Quasi tutti i venditori confiscano i passaporti delle donne, impediscono loro di uscire dalle abitazioni, negano loro ogni permesso e vietano l'accesso al telefono”, affermano. Tutto ciò costituisce una flagrante violazione delle leggi del lavoro del Kuwait e degli standard internazionali sui diritti umani.

A proposito del ruolo delle piattaforme tecnologiche, Urmila Bhoola, inviata speciale dell'ONU, ha dichiarato alla BBC che le imprese facevano “la promozione di un mercato di schiavi online”. “Così Google, Apple, Facebook o qualsiasi altra azienda che ospita applicazioni di questo tipo, deve essere ritenuta responsabile”, ha aggiunto.

Quando la BBC si è avvicinata alle società del settore tecnologico con i loro risultati, tutti hanno espresso preoccupazione. 4Sale, che permette agli utilizzatori di farsi pubblicità, di vendere e acquistare una vasta gamma di beni, ha rimosso la sezione sui lavoratori domestici dalla piattaforma. Facebook ha vietato l'hashtag #maidsfortransfer Instagram, una manovra che probabilmente non risolverà il problema. Apple e Google hanno dichiarato che cercheranno di eliminare questo tipo di attività, le quali sembrano violare le loro regole di utilizzo (Google vieta “le applicazioni che facilitano o favoriscono le attività illegali” e Apple vieta le applicazioni che potrebbero “mettere una persona o un gruppo di riferimento in pericolo”). Apple ha anche puntato il dito contro gli sviluppatori di applicazioni di terze parti, sostenendo che spetta agli sviluppatori rispettare i termini di servizio dell'azienda.

Dalla pubblicazione dell'articolo sul sito web della BBC, la polizia del Kuwait ha iniziato a esaminare la questione e messo sotto esame almeno due persone menzionate nell'articolo.

L'inchiesta rivela un problema fondamentale legalo all'utilizzo dei più importanti social network e piattaforme web che offrono dei servizi e delle funzioni capaci di gestire comunicazioni e transazioni commerciali di miliardi di persone ogni giorno: nessuna delle società che operano su questa scala ha trovato un modo per filtrare efficacemente il contenuto e i servizi di altri per rilevare prove di danni o persino violazioni sistematiche delle normative sui diritti umani, come in questo caso.

Entrata in vigore della legge russa sull’ “internet sovrano”

Il primo novembre è entrata in vigore la controversa legge russa [ru] “sovereign internet” (internet sovrano). La legge stabilisce che durante una “situazione di crisi” (definita in maniera vaga), internet in Russia (o in alcune regioni del Paese) sarà tecnicamente escluso dalla rete internet mondiale. I sostenitori della legge ritengono che è necessario proteggere la Russia dagli attacchi informatici dall'estero, mentre i difensori dei diritti umani e della libertà di espressione vedono questa manovra come una minaccia alle libertà digitali.

La legge impone ai fornitori di servizi internet di incanalare il traffico internazionale in entrata attraverso i punti di scambio internet (IXP) con sede in Russia, consentendo un funzionamento centralizzato di internet in una situazione di crisi. Richiede inoltre loro di installare dispositivi speciali che aiuterebbero Roskomnadzor, l'organismo nazionale di sorveglianza delle comunicazioni, a bloccare il traffico indesideratoTali dispositivi invierebbero i dati a un servizio di monitoraggio centrale in grado di analizzare il traffico in tempo reale attraverso un’ispezione approfondita dei pacchetti, un metodo molto più efficiente del blocco degli indirizzi IP. La legge prevede inoltre la creazione di un sistema di nomi di dominio (DNS) nazionali (l’equivalente dell'elenco telefonico per internet), poiché in caso di un'interruzione globale di internet, i fornitori di servizi russi non sarebbero più in grado di connettersi a server DNS stranieri.

Il 27 settembre, Roskomnadzor ha annunciato [ru] che avrebbe lanciato i test nella regione del sud degli Urali, provocando una certa insoddisfazione a livello locale. I risultati non sono stati resi pubblici.

Ex dipendenti di Twitter al servizio del governo saudita

Il ministro americano della giustizia ha accusato due ex dipendenti di Twitter di spionaggio per conto dell'Arabia saudita. I documenti resi pubblici il 6 novembre indicano che le due persone hanno ottenuto, senza autorizzazione di Twitter, dati personali e altre informazioni sui critici del governo saudita che usano attivamente Twitter, e poi li hanno divulgati alle autorità saudite, violando i regolamenti interni di Twitter e le leggi statunitensi.

Uno dei due, Ali Alzabarah, ha consultato i dati personali riservati di circa 6000 account, tra cui quello del militante saudita Omar Abdulaziz, utilizzatore di Twitter di spicco e conoscente del giornalista saudita assassinato Jamal Khashoggi. Omar Abdulaziz ha intentato una causa contro Twitter e McKinsey, una società di consulenza con sede negli Stati Uniti che ha lavorato per il governo saudita, sostenendo che le due società “hanno violato la [sua] privacy… ed hanno esposto la sua famiglia, gli amici e gli alleati politici alla prigione, alla tortura e persino alla morte “.

Omar Abdulaziz e Jamal Khashoggi non costituiscono che due esempi tra numerosi militanti e giornalisti sauditi presi di mira da campagne di mobbing coordinate che mostrano le caratteristiche di un'operazione governativa, nonché altre forme di repressione, online e offline.

Internet bloccato mentre le proteste continuano in Iraq

In Iraq, dall'inizio di ottobre, le manifestazioni denunciano la corruzione e richiedono una riassetto dei servizi pubblici. In questo contesto, le autorità hanno imposto un “coprifuoco digitale” e hanno interrotto l'accesso a internet la sera. Il 4 novembre, gli iracheni hanno assistito a un massiccio blocco durato 41 ore che ha colpito la maggior parte del Paese, secondo quanto riferito da NetBlocks, gruppo di misurazione della censura su internet. Reuters ha riferito che il blocco ha seguito violenti scontri tra manifestanti e “aggressori non identificati”, provocando la morte di almeno sei persone a Baghdad.

Taglio regionale di internet mobile in Pakistan durante una protesta

Le reti di dati mobili sono state chiuse il 22 ottobre in alcune parti di Islamabad e Lahore, mentre i partiti politici conservatori contrari al governo del primo ministro Imran Khan hanno organizzato una serie di proteste. I giornalisti sospettano che i tagli mirassero a impedire ai gruppi di trasmettere le loro azioni in diretta. Il governo non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale su questo argomento.

Media Matters for Democracy, una ONG che si trova a Islamabad, osserva che che l'Alta corte di Islamabad ha decretato nel 2018 che la chiusura arbitraria della rete ordinata dal governo era illegale. Tuttavia, il governo ha contestato la decisione e ha ottenuto un'ordinanza di sospensione provvisoria fino a quando il caso non possa essere ascoltato nuovamente in appello.

Nel sud-est asiatico dei militanti denunciano gli attacchi contro la libertà di espressione online

Un gruppo di militanti delle agenzie di stampa e delle grandi organizzazioni per la libertà di espressione e delle libertà digitali nel sud-est asiatico si è riunito per denunciare la repressione crescente per dichiarazioni tenute online da parte del governo nella regione. Prendendo come esempio i blogger incarcerati vietnamiti Nguyen Van HoaLe Dinh Luong nonché il cineasta digitale birmano Min Htin Ko Ko Ko Ko Gyi, il gruppo ha messo in evidenza i pericoli nella loro “regione sempre più autoritaria”.

“Siamo testimoni di blogger, manifestanti, difensori dei diritti umani, giornalisti e normali utenti di internet che sono stati molestati, minacciati, picchiati, perseguiti e incarcerati per il loro legittimo uso degli spazi online”, hanno affermato in una nota dichiarazione. I firmatari di questa dichiarazione includono l'Associazione per le comunicazioni progressive, Engage Media, Thai Netizen Network e Viet Tan.

Nuove ricerche

Freedom on the Net 2019: The Crisis of Social Media – Freedom House

Report on digital welfare and human rights – Philip Alston, Rapporteur spécial de l’ONU sur les droits de l’homme et l’extrême pauvreté

On the blocking of pro-choice websites: Women on Waves and Women on Web – Coding Rights, Open Observatory of Network Interference, Women on Waves et Women on Web

 

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