Resistere alla xenofobia russa nella vita quotidiana

Le foto di Milana Nazir appartengono alla rivista Cholod, usate con il permesso della rivista

Cholod [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] è una rivista russa indipendente fondata nel 2019 dalla giornalista Taisija Bekbulatova, dichiarata agente straniero dal governo russo nel 2021 e dal 2022 inclusa nella lista delle 100 donne più influenti dalla BBC.

La rivista Cholod ha chiesto a Milana Nazir, una ragazza uzbeka cresciuta in Russia, di raccontare della xenofobia e del bullismo che ha dovuto subire a causa della sua appartenenza culturale. Milana Nazir studia alla facoltà di economia dell'Università statale di Mosca. Fin dalla più tenera età Nazir ha affrontato diverse forme di discriminazione da parte dei russi nel suo circondario.

Di seguito riportiamo un saggio di Nazir riassunto e pubblicato su Global Voices con il permesso della rivista Cholod.

In primavera ho condiviso su Instagram un link ad un articolo di Cholod [ru] sulle minoranze etniche che vivono in Russia. Qualche tempo dopo un amico mi ha scritto che “la xenofobia in Russia non esiste, e che ci si rivolge in modo irrispettoso solo ai popoli del Caucaso settentrionale, che se la tirano troppo”. Ho cercato molte volte di fargli cambiare idea, senza imporre la mia opinione, ma non siamo arrivati a un accordo. Mi ha turbata molto il fatto che nemmeno i miei amici capissero l'entità del problema.

La nostra famiglia è sempre stata guardata male

Sono uzbeka e in minima parte kirghisa. Sono nata in Kirghizistan [it] e ci ho vissuto per cinque anni. Poi mia mamma ha portato me, mia sorella e mio fratello in Russia: in Kirghizistan vivevamo in un villaggio con nostro papà, che la picchiava sempre. Una volta mia mamma e mia sorella hanno cominciato a pregare, e in quel momento è arrivato a casa nostro papà, ubriaco. Qualcosa lo ha fatto arrabbiare, si è avvicinato da dietro e ha rovesciato un secchio d'acqua ghiacciata su di loro. Mia mamma ha sempre voluto più di una vita al villaggio con nostro papà. In più, il livello di istruzione e il tenore di vita in Kirghizistan sono più bassi che in Russia.

In prima e seconda elementare non mi è mai sembrato di essere diversa dagli altri. Ma poi, quando ho cominciato terza, ci siamo trasferiti a Kazan’ [it]. Per me era difficile parlare con i miei compagni di classe. Per esempio, le bambine dicevano che non mi volevano abbracciare perché ero sporca e puzzavo, e i ragazzi tatari [it] mi urlavano “Allah u Akbar”. Sapevo che le loro famiglie professavano l'Islam, ma non capivo perché facessero così nei miei confronti.

Un giorno volta eravamo in fila in mensa. Mi si è avvicinata una bambina e, senza chiedere niente, ha cominciato a sfregarmi. Ho pensato che volesse tenermi la mano e le ho chiesto cosa stesse facendo. E lei mi ha risposto che stava controllando se ero sporca o no. Dopo questo episodio ho cominciato ad avere la sensazione di essere veramente sporca e di lavarmi male. Allora arrivavo a lavarmi fino a 3-4 volte al giorno: mi sembrava di dovermi togliere di dosso questa sporcizia. Una volta ho trovato in bagno della candeggina e volevo usarla per “sbiancarmi”. Ma grazie a Dio mia mamma è tornata a casa proprio in quel momento e mi ha sgridata per quello che stavo per fare.

Ricordo che sull'autobus guardavano sempre male la nostra famiglia. Mia mamma mi ha poi raccontato, una volta cresciuta, di come le persone per poco non le dicessero negli occhi che avevano paura di essere derubati da lei. Ma mia mamma è una donna molto saggia. L'unica cosa che faceva era scendere dall'autobus oppure sedersi più lontano da loro, per non sentire i loro sguardi addosso. Non ha mai affrontato il confronto diretto e ha capito che lei in Russia era considerata diversa.

Dopo tutto questo, sempre alle elementari, ho deciso di chiedere direttamente ai miei compagni di classe perché non parlavano con me. Allora non capivo che l'etnia può ostacolare la comunicazione. Mi hanno detto che non parlavano con me perché il mio aspetto era diverso dal loro, che avevo la pelle scura e che avevano la sensazione che non mi lavassi. Poi mi sono chiusa e non sono riuscita a farmi degli amici.

A quel tempo mia mamma mi ha dato un consiglio molto strano. Mi ha detto che avrei dovuto studiare bene in modo che gli altri ragazzi mi copiassero e che fossero stimolati a fare amicizia con me. Ma non mi ha mai detto niente riguardo al fatto che si potesse fare amicizia con me nonostante il colore della mia pelle.

Se sei autoironico le persone non ti prendono più in giro

Dopo l'episodio della candeggina mia mamma, probabilmente, ha capito che avevo un problema grave, e abbiamo cominciato a parlare molto della cultura uzbeka. Allora ho cominciato a disprezzare tutto ciò che era uzbeko; pensavo che fosse una cosa negativa, siccome non venivo accettata. Mia mamma provava a spiegarmi con tutte le sue forze che bisogna accettare la propria identità culturale e che non c'è niente di strano nell'essere diversi. Dopo le conversazioni con mia mamma sono diventata più sicura di me stessa.

In prima superiore ho conosciuto le mie prime amiche. Più o meno intorno a quell'età ho imparato a respingere le battute spiacevoli. Se sei autoironico le persone non ti prendono più in giro, e questo è diventato il mio meccanismo di difesa.

Ma ho comunque continuato ad affrontare la xenofobia. Ad esempio, la mia professoressa di russo a Kazan’ abbassava i miei voti: diceva senza giri di parole che non poteva mettere un 10 a una ragazza non russa, quando tutto il resto della classe, di origine russa, aveva 9.

In seconda superiore cercavo di capire perché mi odiavo così tanto. Avevo un'autostima molto bassa e riguardava tutto, sia il mio aspetto che il mio carattere. Alla fine sono arrivata alla conclusione che ciò che mi disgustava più di tutto era proprio la mia identità culturale. Cercavo di trovare una ragione al fatto che non riuscivo ad accettare ciò con cui ero nata.

Ho cominciato a leggere diverse ricerche sul tema delle differenze tra etnie. Ho trovato alcuni articoli sulla difficoltà di vivere in Russia per le minoranze etniche e ho cominciato a sentire che non ero sola. Per me questo è stato molto importante. Mi sono sentita come alleggerita sapendo che c'erano altre persone che affrontavano problemi simili. A partire da quel momento, ho smesso definitivamente di dare alle persone la possibilità di prendermi in giro.

In quarta superiore la professoressa di arte e cultura mi ha detto, quando mi sono tagliata i capelli molto corti: – Milan, forse hai molto caldo qui? Vieni dalle montagne, lì c'è una temperatura completamente diversa -. E durante una lezione dedicata all'Islam, mi guardava in continuazione e mi chiedeva sempre se tutto fosse scritto giusto, se fosse tutto corretto. Verso la fine della lezione mi ha pregata molte volte di leggere una preghiera in arabo. Pensavo che non sarebbe successo niente di male se ne avessi letta una, ma non appena l'ho fatto, la professoressa ha detto: – I musulmani cercano di convertire tutti alla loro religione – e anche che io ne ero un chiaro esempio. Per la verità, la maggior parte dei miei compagni di classe è venuta da me dopo la lezione e mi ha detto che il comportamento della professoressa era stato odioso.

L'anno scorso, penso che uno dei professori dell'università facesse finta di non ricordare il mio nome e mi chiamava sempre Madina. Ogni volta che lo correggevo, non serviva a niente. E questo succede in continuazione.

Ma in generale, quando ho cominciato l'università le cose sono decisamente migliorate: ho molti buoni amici e un fidanzato (tutti russi) che mi sostengono. Rispettano la mia esperienza e si interessano alla mia cultura. Ha influito anche il fatto che, alla fine della terza superiore, ho cominciato a fare la modella e ho smesso di sentirmi in qualche modo sbagliata sul piano dell'aspetto fisico.

Voglio credere di aver accettato la mia identità culturale fino in fondo. Non ne sono sicura al 100%, perché l'avversione verso gli altri popoli sembra essere innata nella cultura russa, e io ci sono cresciuta. Che io lo voglia o no, forse, dentro di me è rimasta ancora un po’ di xenofobia che cerco di estirpare.

Per 15 anni non mi sono sentita a casa né in Russia, né in Uzbekistan. Poco tempo fa sono andata a Mosca da Tashkent in aereo. Ad un certo punto ho capito che non mi sentivo a mio agio perché la maggior parte dei passeggeri era uzbeka. Per tutto il volo ho cercato di capire a cosa era dovuta questa sensazione, e sono arrivata alla conclusione che, a una persona cresciuta in Russia, le minoranze etniche suscitano sempre un po’ di disprezzo. Anche se si guardano le notizie, quando un crimine è commesso da un russo, la sua nazionalità non conta, quando invece lo compie una persona di un'altra nazionalità, se ne parla sempre.

Di certo tutti gli episodi della mia infanzia hanno inciso negativamente sulla mia vita. Mi sento insicura in tutti gli ambiti, come se dovessi dimostrare che sono un essere umano per mezzo della mia intelligenza, della mia istruzione oppure di altro ancora.

Negli ultimi mesi si è cominciato a parlare sempre più spesso di russofobia. Non mi sembra che esista, ma i russi sono molto sensibili a questo tema. Quando si entra nel discorso, provo un forte desiderio di fare un parallelo e dire: “quello che devono affrontare loro non è niente in confronto a quello che subiscono le minoranze etniche in Russia”.

Ovviamente non si devono mettere a confronto né svalutare le esperienze di ciascuno, ma una cosa è venire offesi nel territorio dove vivi, un'altra è esserlo in un Paese straniero, quando i giudizi non ti riguardano direttamente. Penso che i russi adesso stiano cominciato a capire che cos'è la xenofobia. Spero che li aiuterà ad essre più empatici.

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