I lavoratori migranti subiscono razzismo e lampanti violazioni dei diritti umani in tutto il Golfo

Manifestazione Anti-Kafala in Libano. La scritta in arabo sul cartellone dice ” sono un essere umano [donna] e ho il diritto di vivere.” Foto di Federazione Internazionale dei lavoratori domestici, sotto la licenza CC-BY-NC-ND 2.0.

Questo post è stato scritto da Khalid Ibrahim, direttore esecutivo del Gulf Center for Human Rights [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] (GCHR), un'organizzazione no-profit indipendente che promuove le libertà d'espressione, di associazione e di riunione pacifica negli stati del MENA.

I migranti lavoratori nella regione del Golfo e nei paesi limitrofi sono stati soggetti a feroci campagne a favore della loro deportazione intrise di interventi razisti e pieni di odio. Sono stati lasciati da soli nell'affrontare la nuova pandemia di coronavirus (COVID-19) senza alcun accesso al servizio sanitario o ai sindacati, stando alle ricerche del Gulf Centre for Human Rights (GCHR).

Nel corso degli anni, i migranti lavoratori in Libano, Kuwait, Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti (EAU), Qatar e Bahrain sono stati soggetti a gravi vioolazioni dei diritti umani a causa del noto sistema della Kafala (fideiussione) che nega loro i diritti civili e umani di base. Sono stati privati del diritto di potersi spostare, viaggiare o cambiare lavoro, del diritto all'assistenza sanitaria e dei diritti alla rappresentanza sindacale o della formazione di organizzazioni. Inoltre, ai migranti lavoratori viene negato il diritto alla cittadinanza, anche se passeranno la loro vita a lavorare in questi paesi.

Il sistema della kafala, che racchiude discriminazione e sfruttamento, contraddice i principi dei diritti umani e del sistema lavorativo moderno garantiti dalla Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie firmata nel 1990. Questa convenzione è entrata in vigore l'1 luglio del 2003, dopo essere stata approvata da 20 stati, a eccezioone degli stati del Golfo e del Libano.

Libano

Con il crollo del pound libanese e lo stress recato dalla COVID-19, i migranti lavoratori, specialmente i collaboratori domestici, hanno dovuto affrontare condizioni estremamente dure. La legge libanese sul lavoro non tutela i collaboratori domestici, solitamente donne, perché sono soggette ad un sistema di fideiussione che collega il loro stato sociale ad una relazione contrattuale con i datori di lavori. Al termine di questo contratto, i lavoratori perdono il loro stato di legalità e vanno incontro a possibile detenzione o deportazione. Allo stesso modo, possono cambiare posto di lavoro solo previo consenso del datore cosa che, espone loro a sfruttamento, lavoro forzato e traffico di esseri umani.

Il numero dei migranti che lavora come collaboratore domestico in Libano si aggira attorno a 250.000, per la maggiorparte donne, provenienti da diversi paesi, soprattutto Etiopia. Il 5 giugno, i collaboratori domestici etiopi si sono riuniti di fronte ai consolati dei loro paesi a Beirut, in attesa di tornare a casa. Alcuni hanno lasciato il lavoro dopo essere stati pagati con pound libanese, inadeguato per affrontare i bisogni giornalieri e che ha reso loro impossibile inviare soldi alle loro famiglie. Altri hanno lasciato il lavoro dopo non essere stati retribuiti per diversi mesi. Il loro status è diventato illegale e hanno bisogno di una soluzione rapida da parte delle autorità.

La crisi in Libano ha colpito tutti i migranti lavoratori, stando a quanto detto in questo BBC report. Nel 2012, Stop Violence and Exploitation (Stop alla violenza e allo sfruttamento), un'organizzazione civile, ha pubblicato uno studio sul sistema della fideiussione, chiedendo la fine dello sfruttamento di donne migranti lavoratrici e un sistema alternativo che possa garantire protezione legale e libertà di scegliere il proprio posto di lavoro.

Il 28 maggio, il blogger Reem al-Shammari ha postato un video su Snapchat, nel quale attacava verbalmente gli egiziani che lavorano in Kuwait. Le sue parole:

Kuwait is for Kuwaitis, not for Egyptians. … You are hired. Understand … Egyptians are not partners with Kuwaitis in the homeland.

Il Kuwait è per kuwaitiani, non per gli egiziani… Venite assunti. Capite… Gli egiziani non sono partner dei kuwaitiani nella loro terra.

Il video ha incontrato diffuse critiche da parte dei cittadini kuwaitiani, ma i discorsi di odio sono ancora un crescente femonemo sui social media, soprattutto durante la pandemia di COVID-19. Alcundi di questi discorsi di odio hanno collegato, senza logica alcuna, i migranti lavoratori alla diffusione della COVID-19. Tuttavia, alcune voci moderate [ar].

A causa della COVID-19, il netto declino dei prezzi del petrolio ha portato gli stati del Golfo a riconsiderare le loro politiche riguardanti il numero di migranti lavoratori, molte compagnie hanno licenziato centinaia di lavoratori e hanno iniziato a deportare coloro che lavoravano illegalmente.

Il 3 giugno, durante una conferenza stampa, il primo ministro kawaita Sheikh Sabah Khalid al-Hamad al-Sabah ha sottolineato che il 70 percento dei 4,8 milioni di abitanti era straniero, e ha detto che questo numero verrà dimezzato seguendo delle fasi. Ha poi concluso dicendo che “la futura sfida sarà dedicarsi allo sbilancio demografico.”

Arabia Saudita

A maggio 2020, in un episodio di “We Are All Responsible”, ovvero “Siamo tutti responsabili” , presentato sul canale uffiiciale Saudi TV il presentatore, Khaled al-Aqili, ha detto:

Unfortunately, the control of expatriate workers over the economy has become a real threat to national security and not only on the economic side but beyond much of that.

Sfortunatamente, il controllo dei lavoratori espatriati in economia è diventato un vero pericolo per la sicurezza nazionale e non solo dal punto di vista economico ma ben oltre.

Ha concluso:

We ​​must stop making the Saudi employee a scapegoat with every crisis, and make the expatriate workers, who replaced Saudi workers — who are more efficient than them, the first to be dispensed of, not the sons of the homeland.

Dobbiamo smetterla di fare degli impiegati sauditi un capio espiatorio ad ogni crisi, e fare dei lavoratori espatriati, che prendono il posto dei lavoratori sauditi, che sono molto più efficenti di loro, i primi ad essere licenziati e non i figli della patria.

Queste parole sono state precedute da una decisione ministeriale approvata il 3 maggio che regola i contratti di lavoro durante la pandemia della COVID-19.

Promuovere opinioni che etichettano direttamente i lavoratori stranieri, ritraendoli come un pericolo per la sicurezza nazionale, genera razzismo e sentimenti ostili. Giustificare tali sentimenti aggiunge solo benzina sul fuoco.

Emirati Arabi Uniti

Sin dall'inizio della COVID-19, alcuni report hanno confermato la prevalenza del virus tra i migranti lavoratori a causa delle scarse precauzione della mancanza del distanziamento sociale. La maggiorparte dei migranti lavoratori vivono in aree comuni affollate e in quartieri commerciali altamente popolati.

Il 10 aprile, una lettera  inviata da una coalizione di 16 organizzazioni non governative e dei sindacati al Ministro delle Risorse Umane e degli Affari Interni, Nasser bin Thani al-Hamli, afferma:

Low-wage migrant workers remain acutely vulnerable to severe human rights violations, that increase their risk of infection from COVID-19.

I bassi salari dei migranti lavoratori rimangono ancora visibilmente soggetti a gravi violazioni dei diritti umani che aumentano il loro rischio di contrarre la COVID-19.

Il 26 marzo, il Ministero delle risorse umane e degli affari interni ha emesso un arbitrario decreto amministrativo che permette alle compagnie private di modificare i contratti dei migranti lavoratori, forzandoli ad un buonuscita non retribuito, o ad accettare delle riduzioni permanenti o temporanee del salario. Questa decisione protegge legalmente al 100 percento le compagnie, i lavoratori espatriati non hanno diritto a lamentele o a ricorsi legali.

Ai migranti lavoratori in Qatar non è concesso formare sindacati. Molti vengono sfruttati, facendo loro svolgere lavori pesanti per molte ore e con salari molto bassi. La COVID-19 ha portato alla luce un altro problema radicato: la mancanza di assistenza sanitaria e di luoghi per l'accoglienza. Il calo dei prezzi del petrolio ha portato al licenziamento di centinaia di migranti lavoratori, forzando molti di loro a vivere per strada.

In una dichiarazione del 15 aprile, Amnesty International ha affermato che le auorità del Qatar hanno arrestato ed espulso dozzine di lavoratori stranieri dopo averli informati che sarebbero stati sottoposti al test per la COVID-19.

Il 23 Maggio, 100 lavoratori stranieri hanno manifestato a Doha per protestare il non pagamento dei loro salari da parte delle autorità del Qatar.

Alcune fonti locali hanno confermato che i migranti lavoratori che hanno lavorato ai Mondiali di Calcio hanno subito diverse gravi violazioni dei diritti umani, inclusi il basso salario e lunghe ore di lavoro sotto al sole rovente. NOn possono recedere dai loro contratti o tornare a casa. Un recente report pubblicato da Amnesty International UK il 10 giugno ha confermato queste condizioni e ha menzionato lavoratori che non sono stati pagati per sette mesi consecutivi.

Bahrain

Anche il Bahrain ha preso di mira i migranti lavoratori. Il 5 giugno, il membro del parlamento Ghazi al-Rahma ha annunciato [ar] che lui e alcuni deputati avrebbero presentato una proposta per cambiare le leggi sul lavoro nel settore privato, favorendo i cittadini Bahreiniti nei processi di assunzione nel settore privato e dando priorità ai licenziamenti dei lavoratori stranieri.

Gli stati del Golfo devono abolire il sistema della kafala, approvare la Convenzione Internazionale dei diritti dei Migranti e dei Membri delle loro famiglie e concedere pari diritti civili a tutti i migranti lavoratori.

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